Fabio Garagnani (Pdl) ha proposto una modifica al TU sulla scuola: sospendere per almeno tre mesi i prof che fanno propaganda politica in classe. Il commento di MARCO LEPORE

Sospendere gli insegnanti che fanno politica in classe? Sorge qualche perplessità. Non tanto perché la Cgil ha immediatamente alzato le barricate, o perché certi parlamentari della sinistra si sono subito stracciati le vesti; è inutile che facciano gli scandalizzati fingendo che sia l’ennesimo attacco del centrodestra alla scuola “pubblica”… Si sa che accade, ed è cosa che non dovrebbe accadere. Tuttavia, non è così che si risolve il problema.
È un problema antico, forse quanto la scuola stessa. La tentazione di formare le giovani menti piegandole alle proprie idee è sempre esistita, e non solo nei singoli insegnanti. In qualche caso è diventata quasi parte del sistema. Pensiamo a com’è nata, per esempio, la scuola statale italiana: “Fatta l’Italia, facciamo gli italiani!”. E giù a chiudere le istituzioni educative cattoliche. Non è forse un programma politico divenuto sistema? È innegabile, tanto più che – come la storia ci insegna – il dibattito per una scuola improntata a valori laici(sti) e civili che escludessero – per esempio – qualsiasi apertura alla dimensione religiosa, ha accompagnato sin dall’inizio (e accompagna tuttora in molti casi) il cammino del nostro sistema nazionale di istruzione. Non è politica, questa?
È normale, verrebbe da dire. Rassegnamoci. E poi, bisogna capirlo, non è questo il pericolo più grande. Ogni docente, nel proprio modo di essere, di rapportarsi agli alunni, di impostare il programma scegliendo o privilegiando determinati aspetti, di selezionare certe parti e scartarne altre, comunica inevitabilmente il proprio modo di vedere le cose, il proprio pensiero. Anche quello politico, perché no?
E allora, è quasi meglio che la cosa sia esplicita. Come insegnante, ho avuto colleghi – stimatissimi e stimabilissimi – che non facevano mistero coi ragazzi della loro appartenenza politica e spesso ne dibattevano con loro. In qualche caso sfiorando il ridicolo, come quello del prof. che si definiva “maoista” e portava sempre con sé, nella borsa insieme ai registri e al materiale per l’insegnamento, il famoso libretto rosso. Qualche ragazzo si indignava, qualcun altro ci rideva su e lo prendeva per i fondelli; altri, forse, l’avranno seguito convinti che Mao fosse un grande benefattore dell’umanità. Ma, ripeto, il pericolo più grande non è questo; è, semmai, quando la questione si gioca occultamente, le famiglie non lo sanno e i giovani “assorbono” senza capire e senza scegliere.



Ricordo, quando ero al liceo, un docente di italiano di grande fascino. Preparato, solido, capace di dominare la situazione e di appassionare alla letteratura. Sempre con la sigaretta in bocca (allora si poteva…), otteneva l’attenzione e il silenzio, anche da parte dei più agitati, con l’ironia e qualche sferzante battuta. Era sindaco di un paese vicino a Rimini, ovviamente un comune “rosso”. In pochi mesi divenne un “mito” per tutti noi, e i suoi motti correvano di bocca in bocca. Non faceva politica apertamente in classe, ma – lo capisco a posteriori – il suo pensiero scorreva sotterraneo nella letteratura, in certe affermazioni, nel modo di approcciare le cose. E noi eravamo affascinati, lo avremmo seguito ovunque. Per fortuna stette solo un anno.
No, non si risolve la questione con le sospensioni. Va affrontata, certo, ma non così. È una questione analoga a quella dei libri di testo. Possiamo forse pensare di mettere all’indice tutti i libri scolastici che storpiano la realtà storica, scientifica, umanistica, giuridica, eccetera? Non scherziamo, rimarrebbe ben poco. È inutile, anche in questo caso, che si finga che non sia vero; gli esempi sono innumerevoli, già dalle elementari. Comunque, la libertà degli editori di stampare le scempiaggini che vogliono non si può togliere, su questo hanno ragione.
Allora, come si fa? È semplice: restituiamo alle famiglie la possibilità/responsabilità di scegliere, a vera parità di condizioni, a chi affidare la formazione/educazione scolastica dei propri figli, senza fare mistero dell’identità del soggetto educante.
La scuola di Stato, per sua natura, è e sarà sempre così: luogo di molteplici identità e idealità, di discordanti idee politiche, di possibile e probabile comunicazione di valori contrastanti con quelli della famiglia. Non è pensabile e non è ragionevole un controllo a tutti i livelli. Se i genitori desiderano per i figli un luogo e degli insegnanti così, sapendo bene qual è la situazione, hanno il sacrosanto diritto di mandarglieli. Ma se altri non lo desiderano e cercano scuole che rispettino i propri valori, devono avere delle alternative valide e a parità di condizioni economiche. È un diritto altrettanto sacrosanto. E la libertà di scegliere, ancora una volta, è l’unica soluzione. Chi governa ne tenga conto, invece di proporre soluzioni impraticabili e irragionevoli; e chi si straccia le vesti, per favore, ci risparmi lo spettacolo.



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