In un suo recente articolo sul Corriere della Sera Roberto Saviano, parlando di Maria Licciardi (una figura di vertice nella piramide delle famiglie camorriste napoletane), individua proprio nei legami famigliari la chiave di volta che spiega la potenza della rete criminale con la quale lo Stato sembra combattere una battaglia senza fine. È la famiglia a fornire quei legami saldi che consentono una fiducia superiore e assoluta. Da qui la spettacolare e imbarazzante conclusione secondo la quale la mafia finirà “quando finiranno le famiglie. Quando l’umanità troverà nuove forme d’organizzazione sociale, nuovi patti d’affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite”. È un ragionamento perverso, anche se espresso in una forma linguistica seducente. Per la stessa strada si potrebbe infatti affermare che la corruzione finirà quando finirà la democrazia, con i suoi politicanti di professione e le clientele elettorali che vi fanno seguito.
Certamente è vero che la criminalità organizzata ha tanto più successo quanto più riesce ad avvalersi di un tessuto culturale che le preesiste e che le fornisce quei legami e quei principi che da sola non saprebbe assolutamente produrre. La camorra napoletana si avvale infatti dei principi, delle tradizioni, perfino delle feste e dei santi protettori che sono presenti nel proprio territorio. Entra nel mondo locale, riuscendo a parlare la lingua dei vicoli, riproducendone principi e valori – tra i quali certamente quello della famiglia, come sede di legami certi – per poi presentarvi la sua carta vincente: quella di un “sistema” (il termine, come è noto, è dello stesso Saviano) capace di assicurare il benessere materiale vistoso che testimonia quel successo sociale che “nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi” è semplicemente irrealizzabile. La devianza criminale ama così mostrarsi come un’aristocrazia realizzata, la cui onnipotenza affascina e seduce.
Ha successo? Probabilmente no. Anche se il suo ingresso nel mercato della droga, assicurato dai due milioni di consumatori italiani di eroina e cocaina (dati Istat) ne ha alimentato le ricchezze ed esteso all’infinito il raggio d’azione.
Esiste infatti una cultura popolare che, a sua volta, rivendica la propria dignità, di lingua e di legami, di devozioni e di principi. Nella povertà sovrabbonda di affetti e di condivisioni opponendo, al potere aristocratico dei gruppi criminali, la propria felice indifferenza, un’indifferenza che riesce a resistere proprio grazie ai legami famigliari.
È la Napoli di Gianni Lanciano, 52 anni, moglie e due figli, rimasto disoccupato dopo quindici anni di lavoro che, lavorando come rider, viene aggredito e derubato del suo scooter, con il quale faceva le consegne. Gianni, dopo essersi trovato al centro di una catena di solidarietà, dichiara: “Vorrei solo un lavoro stabile, pagare le tasse come ho sempre fatto e vivere tranquillamente. Ringrazio tutti, ma non vorrei approfittare della bontà dei napoletani”.
Ma è anche l’Italia dei detenuti di Castelvetrano, che ringraziando i giovani che fanno volontariato scrivono: “È difficile oggi trovare giovani come voi, in una realtà sociale dove si sono persi gran parte dei valori etici, morali e principalmente religiosi, dove si sta perdendo la fede; dove non si ricerca più il contatto con Dio e dove prevale la ricerca della felicità dove non esiste, dove non può esistere: nel materialismo puro, nel consumismo più sfrenato, dove l’uomo pensa di poter avere il controllo della propria vita e della propria felicità”. Si tratta di un vero e proprio manifesto di una cultura popolare, tradizionale e credente, contro l’aristocratica onnipotenza ostentata dalle famiglie camorriste.
Forse la camorra finirà non quando finirà la famiglia, come asserisce Saviano, ma quando verrà ritrovata la fede e si disinnescherà “il materialismo puro e il consumismo più sfrenato” come affermano i detenuti di Castelvetrano. Credo che abbia torto Saviano ed abbiano ragione quest’ultimi: anziché abolire la famiglia occorrerebbe abolire lo stupidario dei consumi ostentatori sui quale l’aristocrazia mafiosa sfoggia la propria onnipotenza. Così come credo che abbia ragione Gianni Lanciano che rimasto disoccupato a 52 anni, non si mette a spacciare eroina, ma fa il rider, consegnando merce anche di domenica sera. La sua famiglia è fiera di lui, ed anche noi lo siamo.
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