LIBIA/ Così l’Italia protegge la “campagna acquisti” di Serraj

- Michela Mercuri

Lo scorso mercoledì Fayyez al-Serraj aveva messo piede a Tripoli in una situazione che non faceva presagire nulla di buono. Poi tutto è cambiato. Perché? MICHELA MERCURI

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Sono giorni davvero complicati per la Libia, giorni in cui gli eventi si susseguono con una rapidità e con un’imprevedibilità tali da rendere difficile qualunque previsione, seppure di breve periodo. 

Lo scorso mercoledì Fayyez al-Serraj aveva messo piede in suolo tripolino in una situazione che non faceva presagire nulla di buono. Se da un lato il premier del governo di concordia nazionale poteva contare su un accordo di sicurezza — nato anche dall’impegno del generale Paolo Serra — forte del sostegno di alcune importanti milizie locali tra cui quella di Misurata e quella di Abdel Hakim Belhadj, dall’altro il vero e proprio boicottaggio messo in piedi dal Consiglio nazionale generale di Khalifa Ghwell aveva fatto correre almeno un brivido lungo la schiena a tutti gli sponsor interni e internazionali del nuovo governo unitario. Gli esponenti del parlamento tripolino, infatti, avevano immediatamente proclamato lo stato di emergenza, bloccando alcune delle principali strade della capitale per impedire l’ingresso dei membri del Consiglio unitario, chiudendo l’aeroporto di Mitiga e costringendo Serraj ed i suoi ministri a riparare nella base navale di Abu Sita. 

Neppure 48 ore dopo lo scenario appare notevolmente mutato. Nella notte di venerdì giungono notizie secondo le quali i membri più rappresentativi dell’ormai ex governo di Tripoli, il primo ministro Ghwell e il presidente del parlamento Nouri Abu Sahmain, avrebbero lasciato, seppure momentaneamente, la capitale. Nel frattempo il governo di accordo nazionale ha incassato anche la fiducia di uno degli attori più forti e “utili” del panorama libico, le Petroleum Facilities Guards guidate da Ibrahim Jadhran che controllano i principali insediamenti petroliferi della Tripolitania ma hanno, soprattutto, un ruolo di primo piano nell’area della Cirenaica “di Haftar”. Si tratta di una mossa importante sia sul fronte tripolino che su quello di Tobruk, perché indebolisce la posizione del generale Haftar con cui, peraltro, i rapporti di Jadhran non sono mai stati idilliaci. 

Intanto Serraj continua le frenetiche trattative — o se si preferisce contrattazioni e “oboli” — con vari notabili tripolini, accaparrandosi il consenso di una decina di città libiche, tra cui Sabratha e Zuara, e di tredici municipalità che hanno deciso di salire su quello che, al momento, sembrerebbe essere il carro del vincitore. 

L’effetto bandwagon, per lo meno in queste ore, sembra proseguire, tanto che il premier ha incontrato anche Saddek Elkaber, il governatore della Banca centrale libica che, assieme al fondo sovrano Libyan Investment Authority (Lia), è la più ambita cassaforte del paese. Un passo avanti importante che potrebbe consentire al nuovo governo di accaparrarsi a breve anche il tesoretto di circa 70 miliardi di dollari della Lia, questione ancora pendente sul tavolo dell’Alta Corte di Londra. 

A blindare ancora di più l’apparente posizione di forza di Serraj è l’attesa dichiarazione apparsa sabato sul sito della Lybia National Oil Corporation (Noc) che, per bocca del suo presidente Mustafa Sanalla, si è detta pronta a “contribuire al processo di pace stabilità e sicurezza del paese” e soprattutto a lavorare con il governo di unità nazionale per coordinare le future vendite di petrolio, plaudendo alla risoluzione Onu n. 2278 che vieta “strutture parallele nell’esportazione del petrolio libico”. Un chiaro tentativo di sventare la paventata creazione di una compagnia “parallela” nell’area della Cirenaica.

Serraj avrebbe, poi, anche il consenso di una buona parte della popolazione libica. Al di là delle diatribe tra le milizie e i vari centri di potere, infatti, va detto che la maggioranza dei libici desidera la pace ma soprattutto una ripresa economica del paese. Nulla di cui stupirsi se si pensa che la produzione petrolifera libica è precipitata a poco più di 360mila barili al giorno nel 2015 (poco più del 20% di quella del 2011) e, secondo stime del Fondo monetario internazionale, il disavanzo di bilancio nel 2015 è stato uno dei più alti al mondo, pari al 54 per cento circa del prodotto interno lordo. Davanti a questo scenario a dir poco critico il nuovo governo di accordo nazionale appare, al momento, l’interlocutore più credibile, per lo meno a parole. Non è certo un caso se, fin dai suoi primi discorsi, il premier abbia costantemente ribadito la volontà di mettere in campo tutti gli strumenti per far fronte alla crisi economica in cui versa il paese, pienamente cosciente del fatto che, al di là della presenza dello stato islamico, sono la povertà l’inflazione a preoccupare “la gente comune”. 

Il fronte tripolino, comprese due delle principali istituzioni del paese (la Noc e la Banca centrale) sembra compattarsi, dunque, attorno al neonato governo. Tuttavia la rapidità degli eventi e i repentini cambi di casacche dovrebbero portarci a riflettere sulla volatilità del panorama di alleanze libico e suggerire una certa cautela nel delineare possibili scenari di breve periodo.

L’ipotesi più imminente resta quella di due governi. Nella Cirenaica il “vecchio” governo di Tobruk, che peraltro non ha riconosciuto il governo di accordo nazionale, e nella Tripolitania Serraj e la sua compagine in cui si sarebbero riciclati molti dei vecchi amici del governo islamista di Ghwell, pronti agilmente a saltare dall’altra parte della barricata pur di non rinunciare ai possibili benefici in termini economici (leggasi petroliferi) e al riconoscimento, seppure “indiretto”, della comunità internazionale. Detta in altri termini, un governo con una componente islamista, questa volta però legittimato dalla comunità internazionale, a Tripoli e un governo laico, declassato dalla posizione di interlocutore ufficiale a quella di attore secondario, a Tobruk. Un’ ipotesi che, presumibilmente, potrebbe reggere fin quando l’Egitto al Sisi deciderà di continuare a sostenere il vecchio amico Haftar. 





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