Di Maio e Trenta rilanciano il dossier migranti sovrapponendolo a quello dei profughi che arriverebbero in Italia se la situazione in Libia dovesse aggravarsi. E subito è polemica con Salvini, che ribadisce la linea della fermezza e invita i colleghi di governo ad un confronto in Cdm.
Nemmeno i pm stanno fermi: Salvini, Conte, Di Maio e Toninelli sono nuovamente indagati dalla procura di Catania per sequestro di persona relativamente al caso Sea Watch, anche se il procuratore Zuccaro ha presentato contestuale richiesta di archiviazione.
Ma è proprio dalla Libia che ieri è arrivato l’allarme più preoccupante. Al Serraj, dopo avere accusato Haftar di volere esplicitamente la guerra civile, ha parlato di 800mila migranti pronti a partire in caso di crisi umanitaria. “L’Italia deve costringere gli alleati ad imporre ad Haftar un cessate il fuoco ed un ritiro da Tripoli, per sedersi al tavolo delle trattative” dice al Sussidiario Paolo Quercia, direttore del Cenass ed esperto di politica internazionale.
Ieri Di Maio alla domanda del Corriere “avete intenzione di chiudere i porti a chi scappa dalla guerra?” ha risposto che “chiudere un porto è una misura occasionale”. Le pare un intervento pertinente o strumentale?
La questione porti aperti o chiusi riguarda la normale pressione migratoria. Eventuali flussi che possono nascere nelle prossime settimane o mesi faranno invece parte della logica del conflitto. Si tratta di quelle che la studiosa americana Greenhill chiama “weapons of mass migration”, armi di migrazione di massa.
Vale a dire?
La Greenhill studiando le migrazioni avvenute dal dopoguerra ad oggi nel corso di conflitti e guerre civili ha concluso che nella maggioranza dei casi essi sono strategicamente pianificate, artificialmente create o manipolate con l’obiettivo di produrre concessioni politiche, militari o economiche da uno Stato target. Che potrebbe essere l’Italia o la stessa Unione Europea.
A Di Maio si è aggiunto il ministro della Difesa Trenta che a RadioCapital ha detto due cose: 1) “ragioniamo sul futuro (dell’Africa, ndr) perché prima o poi questo futuro ci sfugge di mano”; e 2) il futuro non si gestisce con la chiusura dei porti. Come commenti queste dichiarazioni?
Usciamo dalla questione dei porti, per favore. Possiamo parlare di confini italiani? Sono questi che sono in discussione. Devono essere regolati dallo Stato o meno? Qual è la norma? Quali circostanze eccezionali possono comportare deroghe temporanee a queste norme? Per quanto tempo? Qual è l’autorità italiana competente? E poi, cosa si fa quando l’Italia è fatta oggetto di migrazioni strategicamente pianificate? Come ci si difende? Ragionare dell’Africa va bene per risolvere i problemi che nasceranno tra trent’anni. Oggi però dobbiamo pensare all’emergenza. Non tanto quella dei confini, quanto quella di una guerra civile che se non arrestata può creare uno scenario somalo nel cuore del Mediterraneo. Con tutto quello che questo comporta.
Che cosa comporta, appunto?
Il rischio di una Libia non controllata da nessuno e governata a macchia di leopardo da trafficanti, terroristi e pirati.
Hanno fatto notizia le informative dei nostri servizi riguardanti 6mila stranieri pronti a partire via mare. Ieri lo stesso Serraj ha parlato – ma la cosa non è nuova – di 800mila migranti pronti a partire per l’Italia. Queste informazioni che senso hanno per lei?
Quelle dei servizi sono sicuramente accurate e sono probabilmente basate sulle stime delle persone che sono nelle mani dei trafficanti attendendo l’imbarco e tengono in conto anche le capacità di gestione dei flussi e della logistica in mare. Ricordiamo quando nel giugno 2017 con Minniti ministro degli Interni e senza guerra civile sbarcarono 10mila persone in 48 ore. Le altre cifre che abbiamo invece sentito, di centinaia di migliaia di persone, attengono piuttosto al numero di stranieri residenti sul territorio libico. Ma qui non credo che possiamo parlare di partenti. A meno che qualcuno non decida di espellerli via mare. Ma questo non ha nulla a che fare con le migrazioni.
Cosa deve fare l’Italia se si aggrava la guerra civile e se comincia ad arrivare un ingente numero di profughi?
Ora l’Italia non ha un problema migratorio proveniente dalla Libia, ma un problema Libia che comprende una questione migratoria. L’Italia deve costringere gli alleati ad imporre ad Haftar un cessate il fuoco ed un ritiro da Tripoli, per sedersi al tavolo delle trattative.
Come vede in questo momento la situazione di Haftar?
La sua campagna militare non sta andando affatto bene. Mi pare chiaro che Haftar non riesce a prendere Tripoli ed è stato bloccato nei sobborghi. Né può metterla a ferro e fuoco, visto che vi abita un terzo della popolazione della Libia. Ma neanche può perdere la faccia con un ritiro. Sembra che i suoi sponsor politici, dalla Russia alla Francia, all’Arabia Saudita, allo stesso Egitto – dove Haftar si è recato nelle ultime ore – non retrocedano dalla proprie posizioni. Dall’altro lato, manca un attore che butti il proprio peso dietro il governo di al Serraj.
Chi potrebbe farlo?
Potrebbe farlo la Turchia, ma a me sembra che stiamo piuttosto andando incontro ad uno stallo che potrebbe durare mesi. Bisogna capire, se le linee del fronte dovessero consolidarsi a quelle di oggi e lo scenario divenire un frozen conflict, che effetti esso produrrebbe sui flussi di petrolio e migranti.
Conte ha visto il vicepremier del Qatar e Ahmed Maitig, leader di Misurata e alleato dell’Italia. Non sappiamo quale sia l’esito di questi incontri, viene però da pensare che l’Italia lavori per disinnescare un’escalation delle ostilità e ricostruire le basi del dialogo. Sono mosse giuste?
Il gabinetto permanente sulla Libia è certamente una buona iniziativa. Ora sarebbe il caso di stringersi attorno agli interessi fondamentali dell’Italia in Libia, su cui mi pare assurdo i partiti continuano a dividersi con polemiche assolutamente inadeguate alla gravità della situazione.
Secondo alcuni commentatori l’Italia dovrebbe svolgere un ruolo più attivo di stabilizzazione dello scenario libico, intervenendo sul campo. È realistico?
No, non è realistico. Il ruolo dell’Italia è nell’energia, nel controllo dei confini attorno alla Libia, nella ricostruzione delle istituzioni, nella mediazione tra le parti in conflitto e nella politica estera con i principali attori esterni. E sopratutto nel controllo dello spazio marittimo attorno alla Libia.
Gli Usa, secondo ilgiornale.it, starebbero portando nel Mediterraneo l’Abraham Lincoln Carrier Strike Group. Come commenta?
Credo che faccia parte di programmi di esercitazioni di sicurezza marittima tra le forze Usa e le marine alleate nel Mediterraneo. Certo, vuol anche essere un’azione preventiva di proiezione della potenza marittima americana nel Mediterraneo centrale ed orientale. Segno che gli sviluppi della situazione in Libia non sono prevedibili, ma anche che gli Usa temono che il caos libico possa avvantaggiare Cina o Russia.
Roma ha ritrovato o no una sintonia con l’alleato americano?
Non ancora. Credo che qualcosa si sia rotto. Nell’incontro che vi era stato tra Trump e Conte prima della conferenza di Palermo, il dossier Libia era in primo piano. È stato un peccato che quest’azione di stabilizzazione sia sfumata. Certamente c’è stato chi ha remato contro, ma una maggiore assertività italiana avrebbe potuto contenere queste iniziative.
(Federico Ferraù)