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Home » Esteri » Africa » DOPO L’ATTENTATO ISIS IN MAROCCO/ La strategia dei jihadisti per infiltrarsi in Europa

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DOPO L’ATTENTATO ISIS IN MAROCCO/ La strategia dei jihadisti per infiltrarsi in Europa

Michela Mercuri
Pubblicato 23 Dicembre 2018
Forze di sicurezza (LaPresse)

Forze di sicurezza (LaPresse)

La perdita di controllo sul terrorismo e una crisi del turismo potrebbero trasformare il Paese in un nuovo focolaio di instabilità per l'intero Nordafrica

La pista della macabra decapitazione delle due ragazze scandinave, uccise alle pendici del monte Toubkal, in Marocco, pochi giorni fa, sembra condurre all’Isis. Seppure sia ancora prematuro asserire che la brutale uccisione sia opera di un gruppo organizzato o si tratti di cosiddetti di “lupi solitari”, uniti solo dalla propaganda del califfato, ciò che è accaduto apre uno squarcio sulla presenza di organizzazioni terroristiche in Marocco, uno dei paesi del Nordafrica fin qui considerato una sorta di isola felice, ai margini di un fenomeno in netta espansione nei Paesi vicini.


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Tuttavia, non è tutto oro quel che luccica. Secondo uno studio del Soufan Center, alla fine del 2017 erano circa 1.700 i foreign fighters partiti dal Marocco per i combattere nei teatri levantini, un dato decisamente inferiore a quello di altri Paesi del Nordafrica, come la Tunisia, che detiene il triste primato di aver esportato il maggior numero di miliziani nella jihad mediorientale. Tuttavia, molti potrebbero essere rientrati in patria (o sarebbero in procinto di farlo) dopo le sconfitte dello stato islamico nelle sue roccaforti di Raqqa e Mosul.


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Non a caso da qualche anno il Marocco ha adottato una rigida legislazione anti-terrorismo. Un approccio che si basa sia su operazioni di sicurezza interne sia su sistemi di prevenzione della radicalizzazione, attraverso la creazione di una vera e propria agenzia chiamata Central Bureau of Judicial Investigation, creata nel 2015. Secondo alcuni dati riportati dal Dipartimento di Stato americano nel Country Reports on Terrorism, nel 2016, seppure il Regno abbia dovuto affrontare numerose minacce, le forze di sicurezza interne sono riuscite a smantellare varie cellule legate a Isis e al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi). Sempre secondo questo studio, le forze di sicurezza marocchine nel 2016 avrebbero smantellato 18 cellule terroristiche e condotto 161 arresti legati al terrorismo. Ad oggi sarebbero 57 le cellule neutralizzate.


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Sul fronte della prevenzione il Marocco ha riformato e modernizzato la gestione del proprio sistema carcerario anche attraverso una sorta di “classificazione dei detenuti” tesa a mantenere gli estremisti violenti segregati dal resto della popolazione carceraria, limitandone, così, la capacità di influenzare e reclutare altri carcerati.

Nonostante gli sforzi fin qui fatti, che gli hanno permesso di essere considerato una sorta di eccezione felice rispetto ai suoi vicini regionali, anche il Marocco si trova a fare i conti con il terrorismo. Se è vero che in termini di presenza jihadista, né lo stato islamico né Aqmi sono riusciti a stabilirsi nel Paese, ciò non ha escluso la possibilità di attacchi da parte di piccoli gruppi o lupi solitari, come nel caso dell’assassinio delle due ragazze.

Il brutale omicidio è un campanello d’allarme che rischia di mettere in crisi la stabilità del Marocco, ma anche dell’Italia e dell’Europa.

In ambito interno, così come accaduto in Tunisia ed Egitto, il primo settore a pagarne le spese potrebbe essere quello del turismo, che fino allo scorso anno, grazie agli oltre 11 milioni di visitatori, ha rappresentato il 9% del Pil nazionale. La diretta conseguenza potrebbe essere l’aumento del tasso di disoccupazione giovanile (che oggi sfiora il 30%) impegnata in questo settore, con la conseguente marginalizzazione di importanti fasce della popolazione, una delle prime cause di radicalizzazione in Paesi quali Tunisia ed Egitto.

Guardando invece fuori dai confini, va evidenziato come una perdita di controllo da parte del Marocco sul complesso sistema di prevenzione e contenimento del terrorismo potrebbe avere come corollario un aumento dei terroristi in fuga verso l’Europa. Oggi, dopo la stretta sulla rotta libica, si sono aperte nuove strade per i migranti che partono dalle coste tunisine e algerine con i cosiddetti “sbarchi fantasma”, che spesso utilizzano mezzi veloci, come gommoni carenati con potenti motori fuoribordo ed esperti scafisti, raggiungendo in poche ore le coste italiane e sfuggendo ai radar. Molti dei migranti identificati erano di origine marocchina. Inoltre, si tratta di un mezzo di trasporto piuttosto sicuro anche per possibili infiltrazioni di terroristi. Non a caso sono stati segnalati presunti jihadisti tra coloro che avevano scelto questa tipologia di viaggio.

Tanto basta per comprendere come “l’eccezione felice”, nonostante l’impegno profuso nel contrasto al terrorismo, rischi di divenire un ulteriore focolaio di crisi nel già destabilizzato quadrante nordafricano.


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