Eva Mikula oggi vive tra Londra e l’Italia con i suoi figli. A Belve Crime racconta: “Sono insultata da 30 anni, è una condanna continua”

Stasera alle 21.20 su Rai 2, Eva Mikula sarà una delle voci più attese del primo episodio di Belve Crime, lo spin-off condotto da Francesca Fagnani e narrato da Stefano Nazzi: la donna che nel 1994 contribuì a smascherare uno dei gruppi criminali più feroci della storia italiana recente, la banda della Uno Bianca e che oggi, a quasi trent’anni da quel momento, conduce un’esistenza ben lontana dai riflettori.



Vive tra l’Italia e Londra, ha due figli e conduce una vita riservata, apparentemente distante dagli eventi che la resero un nome conosciuto a livello nazionale – non si sa se abbia un compagno, né quali siano i dettagli della sua quotidianità – ma ciò che appare comprensibile è che abbia scelto di tenersi al riparo, almeno per quanto possibile, dal giudizio pubblico, un giudizio che, come spiegherà nell’intervista, sente di subire ancora oggi, con una costanza e una violenza verbale che lei stessa ha definito distruttiva.



Secondo quanto anticipato in alcuni estratti dell’intervista, Mikula si sente ancora bersaglio di un pregiudizio feroce e radicato: per molti resta la “complice”, la “donna del killer”, mentre lei continua a considerarsi una vittima – una ragazza giovanissima, straniera, senza documenti né riferimenti, che fu assorbita in un vortice più grande di lei – ha dichiarato che i familiari delle vittime della Uno Bianca, più che chiederle spiegazioni, preferirebbero che lei non parlasse affatto e sente che la sua presenza infastidisce, che il suo racconto macchia un’immagine pubblica che si vuole mantenere pulita.



Ricorda anche come nel 2015, quando chiese di entrare nell’Associazione delle Vittime della Uno Bianca, venne respinta senza appello e ribadisce che quella porta chiusa fu uno dei momenti più amari, un gesto che per lei significava esclusione definitiva, come se il suo dolore fosse meno legittimo degli altri; alla domanda su possibili scuse, Mikula afferma di aspettarsele dai familiari delle vittime, non per arroganza ma perché si è sentita aggredita per trent’anni, fino a pensare che quella pressione potesse essere una vera e propria forma di istigazione al suicidio.

Eva Mikula: l’arrivo in Italia, la testimonianza e una vita stravolta: “Mi hanno lasciata sola”

Dopo essere fuggita dalla Romania, in seguito ad un’infanzia violenta e difficile, Eva Mikula visse per mesi a Torriana, nei dintorni di Rimini, in clandestinità, senza possibilità di lavorare o relazionarsi con l’esterno, priva di documenti, dipendente in tutto da Fabio Savi, quell’uomo che si sarebbe poi rivelato uno dei capi della banda della Uno Bianca ed è proprio dopo il suo arresto che il nome di Eva Mikula entra nelle cronache.

La sua testimonianza, resa durante lunghi interrogatori, fu determinante per inchiodare i fratelli Savi e ricostruire la struttura criminale del gruppo – raccontò quanto aveva visto, i comportamenti di Fabio, gli orari, gli spostamenti, l’uso delle armi – ed è proprio da quel momento che, come ribadirà stasera nell’intervista, la sua vita cambiò ancora una volta.

Inizialmente venne nascosta in una località protetta, poi – una volta finita l’utilità investigativa – venne abbandonata a se stessa, senza protezione, senza anonimato, senza risarcimenti; ha vissuto in una condizione di invisibilità scomoda, come se il contributo dato alla giustizia non fosse mai stato abbastanza per riscattarla da un passato che non si era scelta, ed oggi, prova a raccontare la sua verità con voce più chiara, anche se il tempo non ha cancellato né il dolore né il peso delle etichette che continua a portare addosso.