Torna a essere incerto il futuro dell'ex Ilva. Solo due fondi sono interessati a tutto il gruppo. Una vendita a spezzatino sarebbe un danno
Torna a farsi incerto e cupo il futuro per l’ex Ilva. Sono state infatti presentate dieci offerte a seguito del nuovo bando di inizio agosto, ma solo due riguardano tutti i complessi aziendali. Oltretutto, quest’ultime provengono da due fondi, Bedrock Industries e Flacks Group-Steel Business Europe. Ora serviranno almeno un paio di mesi per le valutazioni dei commissari di Acciaierie d’Italia e del ministero delle Imprese e del Made in Italy e non è da escludere che si decida di procedere a una cessione a spezzatino dei vari asset del gruppo.
I sindacati, intanto, hanno deciso di non partecipare all’incontro al ministero del Lavoro previsto ieri per discutere della Cigs dal momento che ritengono essenziale conoscere prima le intenzioni del Governo circa il futuro dell’ex Ilva.
Secondo Giulio Sapelli, Professore emerito di Storia economica alla Statale di Milano, «una vendita a spezzatino significa eliminare l’Ilva. Nella siderurgia, infatti, un fattore essenziale è il ciclo integrale. Mi meraviglia che tra chi ha presentato offerte per parti del gruppo ci siano soggetti industriali, più del fatto che gli unici due soggetti a voler tutto il gruppo siano fondi. I quali sanno benissimo quel che le nostre autorità politiche forse non sanno: l’avvenire non è dell’AI o di internet, ma è dell’acciaio. Basta guardarsi in giro».
In che senso?
Ci sono guerre, quindi mezzi militari da costruire, distruzioni, che richiederanno una successiva ricostruzione, e piani di sviluppo infrastrutturale importanti nell’area dell’indo-pacifico: tutte cose per cui c’è bisogno dell’acciaio. Se per l’Italia si vuole un futuro ancora manifatturiero, questa partita dell’ex Ilva è decisiva. Tuttavia, negli ultimi quindici anni tutti coloro che se ne sono occupati hanno peggiorato la situazione e il colpo decisivo è stato dato nel 2017, quando alla cordata Jindal-Arvedi-Cdp-Delfin venne preferita la cessione ad ArcelorMittal.
Bisognerebbe allora nazionalizzare l’ex Ilva?
Andava nazionalizzata anni fa piuttosto che cederla ad ArcelorMittal, adesso è troppo tardi, anche perché nel nostro Paese non abbiamo più, salvo qualche ammirevole eccezione, come Eni e Leonardo, un management industriale pubblico capace.
Da quello che ha detto, oggi sembra meglio la cessione integrale del gruppo a uno dei due fondi piuttosto che la vendita a spezzatino…

Non bisogna avere pregiudizi negativi sui fondi, tutto sta a vedere quali garanzie offrono e quali condizioni si riescono a contrattare. Certo è che se vogliono ottenere un guadagno rapido ci sarà da diffidare. Se devo dire la verità, da vecchio storico dell’economia penso che la partita sia ormai finita. Chiunque prenda l’ex Ilva di Taranto, viste le ferite, i disastri, le offese fatte ai lavoratori e alla comunità della città pugliese, non riuscirà a evitare la chiusura.
Di chi sono le maggiori responsabilità?
Oggi paghiamo le conseguenze di quel che è iniziato con il Governo dell’Ulivo, il peggiore dall’Unità d’Italia, dato che ha portato avanti questa idea delle privatizzazioni, sopratutto a spezzatino. Poi, certo, la magistratura ci ha messo del suo. Ma questa vicenda è anche in fondo un pezzo dell’autodafé dell’industria italiana ed europea, che ha aderito ciecamente al mito Ue della transizione energetica.
Anche l’Ue ha colpe?
Oggi se non si è un grande gruppo è impossibile resistere alle normative europee. La vicenda dell’ex Ilva ci sta ricordando come la Burocrazia celeste, mentre sogna l’intelligenza artificiale, dimostra di non essere dotata di alcuna intelligenza umana.
Chi si potrà avvantaggiare di una chiusura o di un ridimensionamento ulteriore dell’ex Ilva di Taranto?
Sicuramente i turchi, che potranno aumentare la loro sfera di influenza economica, oltre che militare, nel Mediterraneo. È sconcertante che nel nostro Paese non si capisca l’importanza strategica della siderurgia.
Cosa pensa della posizione presa dai sindacati?
Oggi, purtroppo, c’è una parte di loro che si occupa più di Gaza che dei lavoratori. Ritengo in ogni caso una decisione sbagliata quella di lasciare il tavolo: occorre sempre contrattare, mediare. Anche perché non bisogna mai offrire alibi alla controparte.
(Lorenzo Torrisi)
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