Fare o no una legge sul fine vita? Il Senato, dove stato presentato il testo, è diviso in più aree di opinione. Ecco quali sono

Prima erano soltanto rumori, ora sembra un torrente in piena… e la legge sul fine vita con tutta probabilità salterà a settembre, lasciando un maggior respiro per risolvere una serie di nodi, che si sono rivelati ben più complicati del previsto, ma che è assolutamente indispensabile sciogliere prima che la legge arrivi in Aula.



C’è un solo punto su cui maggioranza e opposizione sono pienamente d’accordo: la legge della controparte deve essere bocciata, per ragioni di opportunità politica, per ragioni di merito e di metodo.

Il testo base, adottato il 2 luglio 2025 dalle commissioni riunite Giustizia e Sanità del Senato, dopo un lungo lavoro del comitato ristretto, non piace affatto alle opposizioni, divise su tutto, ma d’accordo nell’affossare il testo scelto.



D’altra parte, su quello stesso testo si sta svolgendo un dibattito intenso nel complesso mondo del laicato cattolico, anche in quello che abitualmente sembra disponibile a sostenere le ragioni della maggioranza.

Accanto ad alcune voci chiare che, pur vedendo le criticità della proposta di legge, si schierano a suo favore, ce ne sono altrettante che con altrettanta forza ne contestano in radice anche l’impianto base e preferirebbero che non ci fosse nessuna legge.

A sinistra le critiche maggiori alla legge si concentrano sul recepimento della sentenza 242/2019 della Consulta, i cui criteri, ad avviso di quella parte politica, sono diventati ancora più stringenti; il carattere perentorio con cui sembra che si debba ricorrere alle cure palliative, facendole apparire quasi come un TSO; un Comitato etico unico, centrale, assai distante dal paziente, di nomina governativa, che farebbe apparire tutto ciò come segno e simbolo di uno Stato etico, e infine l’esclusione del SSN dall’intera procedura, perché il SSN non dovrebbe fornire né persone, né farmaci, né ausili di alcun genere.



Insomma per l’opposizione si tratterebbe di una legge mal scritta, sostanzialmente ostile al paziente, pressoché impossibile da attuare, salvo un capovolgimento dall’inizio alla fine di tutto ciò che propone, o per meglio dire, impone.

Nel centrodestra le ragioni contrarie alla legge si trovano un po’ in tutti i partiti e coinvolgono molte persone di area cattolica, che sostanzialmente non vorrebbero nessuna legge, perché di ognuna colgono qual margine di criticità che potrebbe aprire le porte ad abusi non irrilevanti, anche per una interpretazione aperturistica che potrebbe scattare in magistrati compiacenti.

È proprio quest’area cattolica che rende problematica l’approvazione in Aula della legge, soprattutto se ci saranno – come previsto – una serie di voti segreti.

Scontato il no dell’opposizione, e decurtato il sì della maggioranza, i margini di approvazione si riducono vistosamente. Uno degli esponenti più noti dell’area cattolica del centrodestra, Massimo Gandolfini, ha pubblicato un poster che affida il suo messaggio all’eloquenza dei numeri: In Italia con 58 milioni di abitanti senza la legge in otto anni ci sono state 7 richieste di suicidio assistito; in Belgio, con 11 milioni di abitanti, con la legge da oltre 15 anni, solo nel 2023 ci sono stati 3.423 casi di eutanasia e suicidio assistito.

È il disagio profondo sperimentato da chi non vuole nessuna legge e, per una eventuale gestione delle conseguenze relative ad un caso di suicidio assistito, preferisce affidarsi alla magistratura, di cui è ampiamente prevedibile un parere di ampia comprensione per la drammaticità delle situazioni in corso.

Secondo molte di queste persone, proprio il fatto che la legge non ci sia fa pensare che il fatto in sé sia un fatto grave, un reato, non ammesso dalla normativa, punibile anche se non punito. Mentre una legge, per quanto ben fatta, inevitabilmente con il tempo potrebbe creare uno “scivolo” in cui i vincoli si allentano progressivamente fino a spalancare le porte alla convinzione che la non-punibilità si sia trasformata in diritto.

Abbiamo già visto questa evoluzione in altre leggi. La legge 194/1978 iniziò con la depenalizzazione dell’aborto per terminare in diritto ad abortire, perfino di rango costituzionale, come è accaduto in Francia, o comunque di livello europeo.

E con la legge 40/2004 è scattato lo stesso meccanismo, per cui sono stati fatti saltare tutti i paletti, salvo due: il diritto alla vita tutelato fin dal momento del concepimento e il divieto dell’utero in affitto o maternità surrogata, comunque lo si voglia chiamare. Leggi di cui tuttora si discute molto, ma in cui possiamo vedere un vistoso scollamento tra l’approvazione iniziale e l’evoluzione successiva. Ed è quanto si teme per questa norma.

Infatti, già ora, accanto al recepimento della sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, vediamo avanzare una richiesta esplicita di depenalizzare, a determinate circostanze, anche dell’articolo 579 del codice penale, quello per intenderci che tratta dell’omicidio del consenziente, e una proposta di legge di iniziativa popolare orientata a chiedere espressamente la legalizzazione dell’eutanasia, con un iter di morte che sembra non trovare fine.

Questo perché al centro del dibattito, in una larga porzione dell’opinione pubblica per lo più schierata a sinistra, non c’è la comprensione e l’empatia per il dolore che il paziente sperimenta, ma la volontà di riaffermare il dominio dell’uomo sulla propria vita e sulla propria morte.

Non stupisce quindi che la presentazione degli emendamenti si sia spostata oltre metà di luglio, mentre continuano in Commissione Affari Costituzionali una serie di audizioni mirate.

Il dubbio sulla possibilità, o meglio sulla opportunità di fare una legge sussiste in molti decisori politici, ben consapevoli di quanto possa apparire difficile fare una buona legge in un ambito così delicato. Ed è per questo che molti preferirebbero far passare la pausa estiva e riprendere a settembre i lavori perfino con un nuovo testo base.

L’attuale testo base è strutturato a partire dalla famosa sentenza della Consulta e recita: “Disposizioni esecutive della sentenza della Corte Costituzionale del 22 novembre 2019, n. 242” e questo già di per sé crea per una parte dei parlamentari una serie di difficoltà, perché quella sentenza era chiaramente dettata con l’intenzione di assolvere Marco Cappato dopo la vicenda di DJ Fabo.

Il testo da cui molti vorrebbero ripartire farebbe invece riferimento alle recentissime parole di Papa Leone XIV: “rivoluzione della cura”, dettate in occasione del Messaggio per la V giornata dei nonni e degli anziani.

La rivoluzione della cura a cui ci si riferisce non sta nell’obbligatorietà delle cure palliative, ma nell’impegno a renderle così attrattive che ogni persona possa desiderarle e maturi il diritto ad ottenerle, secondo un modello di palliazione simultanea, e non solo terminale.

In quest’ottica il paziente deve poter fare esperienza delle cure palliative ben prima che possa maturare in lui un pensiero suicidario, e proprio le cure palliative dovrebbero fungere da fattore preventivo.

Non a caso i palliativisti più esperti, coloro che da anni esercitano il loro lavoro con passione e competenza, dicono che le richieste di eutanasia nei diversi hospice, o anche nell’itinerario della assistenza domiciliare, sono quasi pari a zero.

E d’altra parte anche l’enciclica Evangelium vitae, al par. 19, prende atto che ci possono essere casi umanamente molto difficili, in cui si riduce notevolmente la “responsabilità soggettiva e la conseguente colpevolezza”.

Certamente la responsabilità, oggettiva e soggettiva, dell’approvazione di questa legge è in grandissima parte in mano ai decisori di ambito e formazione cattolica. I rischi sono tanti: prima, durante e dopo! Nel concepimento della legge, nella fase emendativa, e nella successiva interpretazione e applicazione.

Tutti possono sbagliare, ma c’è una sorta di bussola che Papa Wojtyła ci ha lasciato in tempi non più facili degli attuali e vale la pena ricordare questo testo. Il punto 73 dell’Evangelium vitae afferma: “Un particolare problema di coscienza potrebbe porsi in quei casi in cui un voto parlamentare risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva (…) un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione (…) fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale disposizione e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui”.

La legge per ora è ancora in gestazione, combattuta da chi la vuole ad ogni costo e da chi la respinge ad oltranza, con un’ampia serie di distinguo da parte di chi, volendo migliorare il testo, corre però il rischio di affossarlo in Aula.

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