Terminata la loro missione a Roma, i tecnici del Fondo monetario hanno stilato il rapporto annuale ex articolo 4 sull’Italia dal quale emerge una rinnovata preoccupazione per i conti pubblici del nostro Paese. Bene, quindi, ha fatto il Governo a bloccare una volta per tutte il Superbonus 110%, ma per l’organizzazione di Washington non è abbastanza. Andrebbero, infatti, eliminati tutti gli altri bonus, dalle garanzie sui prestiti agli incentivi alle assunzioni, e razionalizzate le agevolazioni fiscali. Dal Fmi viene ribadita anche la necessità di aumentare l’età pensionabile eliminando le forme di ingresso anticipato alla quiescenza e viene caldeggiata la cancellazione del taglio del cuneo fiscale. E per mettere in sicurezza i conti viene suggerito il raggiungimento di un avanzo primario di bilancio annuo pari al 3% del Pil. “Questi ‘consigli’ – è il commento di Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano – sembrano essere mossi dalla volontà di conseguire un equilibrio di finanza pubblica. E potrebbero anche essere la componente di un gioco delle parti”.
In che senso?
Nel senso che si consiglia qualcosa che si sa essere impossibile da realizzare per ottenere poi qualcosa che gli si avvicina. Il problema è che l’asticella è così alta che non vedo quale potrebbe essere il modo per cercare di andare incontro alle indicazioni.
Che occorra un intervento importante sui conti pubblici italiani è però evidente, vista la riforma del Patto di stabilità che è stata approvata.
Che si tratti di un Patto per la stabilità è tutto da dimostrare: le vecchie regole, infatti, non hanno contribuito a realizzarla. E la situazione oggi non pare essere rosea, visto che nel nostro Paese ci sono molte famiglie tra quelle a reddito medio-basso che fanno fatica a far fronte a tutte le spese. Eppure il Fmi suggerisce di cancellare il taglio del cuneo fiscale che riguarda proprio loro. L’indicazione del Fondo che mi lascia letteralmente allibito è, tuttavia, un’altra.
Quale?
Quella relativa al conseguimento di un avanzo primario annuo pari al 3% del Pil.
Eppure, come lei ha ricordato in precedenti interviste, l’Italia per molti anni consecutivi ha conseguito avanzi primari…
Sì, ma bisogna attenti a non chiedere troppo, perché obiettivamente la situazione del Paese non è così florida come si potrebbe pensare. Tanto per dare l’idea dello sforzo che il nostro Paese dovrebbe compiere, il Governo nel Def approvato il mese scorso ha indicato un avanzo primario al 2,2% nel 2027. Seguire l’indicazione del Fmi vorrebbe dire destinare circa 60 miliardi di euro l’anno alla riduzione del debito pubblico: non parliamo di bruscolini.
Sarebbero risorse che verrebbero tolte ad altre voci del bilancio, oltre a quelle indicate dal Fmi, come le pensioni e i vari bonus?
Sì e viste le carenze che già ci sono nel welfare credo che non si creerebbero le condizioni per una crescita economica necessaria a raggiungere proprio l’avanzo primario. Bisogna, infatti, intendersi su un punto: l’obiettivo non può essere il conseguimento di un così alto avanzo primario in sé; se si vuole la stabilità dei conti pubblici è necessario favorire la crescita economica. Occorre, dunque, chiedersi se quelli indicati dal Fmi sono provvedimenti che favoriscono la crescita. Io credo di no.
Di fatto c’è il rischio che torni l’austerità?
Esattamente. Temo che possa ritornare lo spettro dell’austerità espansiva, cioè l’idea che tagliando la spesa pubblica si riesca a far crescere la domanda interna e l’economia. E devo anche confessarle che non è l’unico timore che ho.
Cosa intende dire?
Che mi preoccupa un segnale come quello arrivato dal Fmi, perché basta poco per drammatizzarlo e creare uno squilibrio nelle aspettative di mercato. Le dico questo perché temo che possa ripetersi una situazione come quella del 2011, con un settore finanziario in fibrillazione per un aumento reale o atteso dello spread. Penso sia importante essere consapevoli che la buona salute della finanza pubblica si realizza tramite la crescita.
(Lorenzo Torrisi)
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