FOCUS INFLAZIONE/ Il guaio che le Banche centrali non possono risolvere

- Giovanni Ricci

L'inflazione continua a salire ed è inutile illudersi che le Banche centrali possano risolvere la situazione: occorre un intervento della Politica

powell fed 2 lapresse1280 640x300 Jerome Powell, governatore della Fed (LaPresse)

Per il dato inflattivo Usa che verrà pubblicato in novembre e riferentesi a ottobre 2021 in tendenziale sull’anno si stima un tasso del 6,1% -6% con valore minimo non sotto al 5,7%. Il consensus del mercato (base Bloomberg) ha un puntuale del 5,9%-5,8%.

Al di là delle differenze tra i valori di cui sopra, quel che si vede in maniera chiara è l’innalzamento dei valori inflattivi verso l’area del 6%, aspetto sicuramente dovuto all’entrata in campo della stagione autunnale e invernale e per tale motivo con maggiore domanda di combustibili per riscaldamenti e trasporti.

Tra le altre cose, questo è uno dei principali aspetti che fanno da sfondo alle ipotesi della Fed e della Bce sulla transitorietà della crescita dell’inflazione: nella stagione invernale si usano più combustibili e per tale verso questa componente è più volatile in relazione all’intero indice; detto anche con altre parole, all’arrivo della stagione primaverile questa componente periodale della domanda (i riscaldamenti) agirà in senso negativo e quindi l’indice inflattivo complessivo tornerà a scendere. L’altra spiegazione sulla transitorietà del fenomeno inflattivo è l’ormai arci-notoria discussione sulle strozzature sulla supply chain complessiva e sui consequenziali effetti di scompaginamento della filiera, visibili nella carenza di microchip, nell’ingolfamento dei principali porti del mondo, nel rincaro di tante materie prime, alimentari e non. In sostanza, come corollario di questa immagine rassicurante sta il fatto “transitorio” del disallineamento tra domanda e offerta globale in periodo post-Covid.

Ed è proprio questa lettura complessiva che personalmente non mi convince, in quanto – partendo dall’ultimo aspetto evidenziato – il disallineamento tra domanda e offerta mondiale non è cosa da poco o secondaria, bensì è un primario problema in se stesso, che tra le altre cose i mercati da soli non riuscirebbero e non riusciranno a risolvere né in tempi brevi e né in modi ordinati.

Qui arriva l’importanza fondamentale dello scenario geo-strategico mondiale per uscire da questa crisi del Covid; in sostanza, vuoi per un verso o per l’altro, i problemi odierni non sono solamente più di ordine economico e poi finanziario, ma sono giunti oramai al livello politico internazionale.

Prima dell’esplosione del Covid-19 si può affermare che l’equilibrio economico mondiale “teneva”, ma una volta rotto si sono liberate dinamiche politiche a lungo covate che ora reclamano la prima scena: ritiro dall’Afghanistan, protagonismo cinese non più solo economico e finanziario. A mio personale parere, derubricare questi aspetti ora menzionati è molto pericoloso, in quanto è proprio da tali premesse che l’inflazione sta traendo linfa.

Perché? Perché se manca accordo fondamentale e condiviso a livello globale tra i vari Stati, un sacco di fattori dell’offerta diventano meno gestibili e tendono a diventare variabili esogene non manovrabili facilmente dai Governi: offerta di fattori energetici, funzionamento dei maggiori scali portuali del mondo, materie prime industriali e alimentari, componentistica avanzata e via di questo passo in questo elenco delle disgrazie, dove la variabile esogena al momento più importante e di molto rispetto a tutte le altre è il petrolio e le sue dinamiche di prezzo. vuoi dirette, per i disallineamenti dell’offerta Opec con la domanda, vuoi indirette per il ruolo che le altre variazioni esogene testé enunciate sopra hanno sugli equilibri petroliferi.

In sostanza, la Cina in primis sta iniziando a mostrare i muscoli in dimensioni che mai e poi mai aveva direttamente calcato: l’unificazione senza se e senza ma di Taiwan e in prospettiva la trasformazione dei mari cinesi a mari mediterranei di propria influenza, da Singapore alle Filippine e alle Coree, con nello sfondo la prossima tappa di questo percorso: la fagocitazione del Giappone nella propria sfera di influenza.

Ora, con tutto questo armamentario del vaso di Pandora che sta venendo allo scoperto, si può più parlare di fenomeni inflattivi transitori? Per me è assolutamente fuori luogo, e chi insiste in tale direzione sta prendendo una strada sbagliata.

Il Covid-19, vuoi esso incidente naturale e causale, oppure in maniera dietrologica, epifenomeno scatenato, ha rotto gli equilibri consolidati e usurati che abbiamo vissuto fino al 2019; in sostanza, la Cina ne ha approfittato per far sapere al mondo che vuole un altro ruolo da quello che l’Occidente le ha assegnato finora. E per come sono le cose del mondo attuale che viviamo lo scontro sta prendendo direzioni serie in ambito economico: non allineamento tra domanda e offerta mondiale, strozzature sulle catene dell’offerta per vasti settori e in varie parti del mondo, e questi purtroppo sono aspetti che i mercati fanno cilecca nel breve periodo a risolvere, qui ci vogliono gli Stati a sbrogliare le matasse.

E così i vari attori politici principali con una mano tendono alla soluzione dei problemi logistici, di approvvigionamento, di ottimizzazione delle consegne, e con l’altra tendono a inasprire i motivi di contesa e scontro politico.

L’inflazione vive e origina sul comportamento fuori giri delle variazioni esogene, e in questo momento tali variazioni stanno diventando sempre più sistemiche e generalizzate. Occorre pertanto dargli freno ed equilibrio e in tal senso le Banche centrali non hanno influenza in tale genere di dinamiche, le stesse possono avere il controllo pieno dell’inflazione finché essa rimane solo e solamente fenomeno monetario.

E le inflazioni che tendono a diventare moderate, cioè tassi annui dal 7,5% all’insù, tendono a diventare sempre più fenomeni reali e sempre meno fenomeni monetari; attualmente siamo in piena fase di transito (stimato un effettivo 6%, inflazione ancora leggibile come leggera). Infatti, solamente le letture teoriche del monetarismo puro e duro recitano di inflazione solamente come fenomeno monetario sempre e comunque; ma le ipotesi a fronte di queste conclusioni sono tante, molte ed estreme, come ad esempio la supposizione del reddito di pieno impiego dei fattori e l’orizzonte di medio periodo perlomeno; resta però una lettura cruda crudele e azzardata del fenomeno inflattivo.

Tanto è vero questo che tra i grossi problemi economici che poi diventano anche sociali e politici che l’inflazione lascia al tappeto quando essa tende a diventare moderata c’è la sensibile alterazione dei prezzi relativi che inizia a manifestarsi; diteglielo voi a un proprietario di case di una certa tipologia abitativa che prima dell’instaurarsi di un fenomeno inflattivo moderato, comprava ad esempio in termini di prezzi relativi 10 automobili medie con un’abitazione e dopo la fine del fenomeno in esempio con una sua casa compra “solamente sei auto medie”.

Questo è il lato violento dell’inflazione quando tende a diventare superiore al 7,5% circa (entrata nei valori moderati), variazioni non più solo monetarie ma reali. In tali contesti, le Banche centrali contribuiscono al raffreddamento della stessa con le politiche monetarie ritenute volta per volta più opportune, ma da sole non sono più in grado di gestire del tutto il fenomeno inflattivo; questo è il momento dell’entrata in campo delle autorità di bilancio in maniera supplementare. Insomma, per tirare le fila del discorso: ci stiamo sensibilmente avvicinando agli scenari sopra riportati.

Infatti, l’iniziale pandemia che in maniera immediata è diventata problema serio sanitario a livello mondiale, ha poi tracimato dopo 2-3 mesi dal suo inizio nelle sfere e nelle dimensioni dell’attività economica mondiale, percuotendola e aberrandola, e così facendo ha rotto gli equilibri della domanda e dell’offerta e ha portato a una recessione da guerra. Proprio per questo, le letture ottimistiche di problemi solamente di ripristino dei precedenti equilibri economici è fuorviante, in quanto si sono liberate dinamiche che hanno bisogno della politica con la P maiuscola per essere risolte.

Vuoi per un verso, vuoi per l’altro, al momento stanno andando tutti in ordine sparso, e addentellato pericoloso di tale faccenda è che in queste situazioni la finanza e i suoi indici tendono a diventare fuorvianti perché facilmente soggetti a isteresi in alcuni giorni, e a volatilità imperscrutabili in altri. Per questo motivo fondamentale o per questi aspetti potenti l’inflazione non la si può più descrivere né come transitoria, né come gestibile in maniera lineare.

Ci aspettano scossoni vari in questa appena iniziata navigazione a vista, e personalmente quello che mi aspetto è uno scossone sui tassi di interesse, con movimenti in alto dove ovviamente il motore sarà l’inflazione e speriamo dietro un po’ di crescita. Da questo punto di vista le dinamiche salariali degli anni Settanta saranno abbondantemente sostituite dalla smobilitazione sui mercati secondari dei debiti pubblici di mezzo mondo.

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