Per il dato inflattivo Usa che verrà pubblicato domani e riferentesi a dicembre 2021 in tendenziale sull’anno, si stima un tasso del 7,1-7,2% con valore minimo non sotto al 6,8%. Il Consensus Bloomberg degli operatori di mercato è al 7% annuo, quindi di fatto stima molto vicina alla presente analisi; questi valori dell’inflazione tendenziale stimata lambiscono i valori iniziali di un’inflazione moderata, la quale ha inizio dal tasso pari al 7,5% circa.
Il refrain di fondo è sempre lo stesso, l’andamento delle quotazioni del petrolio, qui conteggiato come dollari al barile Wti, che di fatto è il Big Kahuna rispetto a tutti gli altri fattori inflazionistici di offerta: gli altri idrocarburi, carbone e gas, la scarsezza di offerta di molte materie prime, dalle terre rare alle materie minerali, le forti variabilità di prezzo della merceologia alimentare; a seguire comportamenti dati dalla dinamica delle cose: non allineamento dell’offerta globale alla domanda complessiva a causa di diversi fattori, da quelli scatenanti legati al Covid-19 e all’evoluzione della gestione delle politiche di controllo, dalla modificazione dei comportamenti e delle aspettative degli operatori economici e dei consumatori, fino all’emersione di dinamiche latenti di confronto più propriamente geopolitico, e qui in particolare ci si riferisce a Russia e a Cina.
Ora, le problematiche attinenti alla Cina e alla Russia da dimensioni economiche sconfinano, come detto, in scenari di geostrategia politica e per tale verso non sono analizzabili come problemi finanziari tout court; inoltre, ogni analista, ogni istituzione rimarca a seconda dei propri giudizi di valore aspetti particolari a discapito di altri; bene, questa sottolineatura, mi serve per fare chiarezza intorno al merito dei miei giudizi di valore nell’attuale contesa: in sostanza, io reputo che il confronto degli Stati Uniti con la Cina appartenga più propriamente alle querelles tra due attori economici, con iniziali schermaglie di tipo strategico (l’affaire Taiwan). Tale situazione, però, è più appariscente che reale, dato che al momento e per non poco tempo ancora, la Cina non può competere a livello militare strategico con gli Stati Uniti. Al contrario io vedo invece nel confronto tra Stati Uniti e Russia un confronto propriamente geostrategico militare tra le due vere e uniche nazioni super potenti: il motivo di questo status è dato dall’arsenale nucleare e missilistico sconosciuto a ogni altra nazione del pianeta.
Il motivo della ricaduta inflattiva di tale scontro è dovuto al fatto che la Russia è il king decisioner in merito agli idrocarburi, in sostanza senza Russia il petrolio costerebbe immediatamente tre volte di più; non è però argomento di questo intervento l’odierna dinamica strategica relativa all’Ucraina, quanto, come prima accennato, la sua ricaduta sul funzionamento del sistema economico.
In estrema sintesi, il confronto attuale Russia-Stati Uniti, fa si che il prezzo del petrolio abbia una dinamica rialzista e, soprattutto, aspetto più importante per questa analisi, che tale variazione di prezzo abbia a livello macroeconomico il carattere dell’essere esogena: va di fatto accettato il prezzo che si stabilisce, come una variabile fuori controllo dei policy makers, ed è del tutto ovvio che questo sia un gran bel problema.
Una ipotesi suggestiva e abbastanza verosimile del momento attuale potrebbe essere a mio giudizio la seguente: il Presidente degli Stati Uniti Biden ha rassicurato il Presidente della Fed Powell che in tempi brevi, sebbene non brevissimi, il petrolio tornerà ad avere dinamiche endogene e soprattuto un prezzo intorno ai 55-60 dollari, e questo grazie alla complessa e fondamentale trattativa che sta avvenendo con la Russia con i dossier tra i più importanti per l’intero pianeta. In tal modo, ciò che Biden verosimilmente sta chiedendo a Powell è la gestione brillante degli attuali problemi inflazionistici e occupazionali che riguardano gli Stati Uniti; ed è proprio da questo punto che inizia l’importantissimo lavoro del Presidente della Fed, o se qualcuno preferisce la patata bollente.
Indubbiamente il momento non è semplice: si può oramai affermare che l’inflazione tendenziale è al 7% circa e che mancano ancora 4 milioni di lavoratori circa da reinserire rispetto ai livelli pre-crisi; a tutto ciò va aggiunto il grido di guerra di moltissimi membri del Congresso – soprattutto democratici – derivante dal fatto che se non ci fosse stato il Covid, e con il tasso di crescita che era atteso se nulla fosse accaduto, in questo momento gli Stati Uniti avrebbero 8 milioni circa di occupati in più
È chiaro che le problematiche sono enormi, e quindi la domanda che si pongono tutti è: qual è l’ottima politica monetaria? Subito va detto che la risposta non esiste in nessun manuale, ci sono invece i tanti e i tantissimi interventi degli addetti ai lavori – economisti, operatori borsistici, ministeri economici, ecc., fino ai singoli cittadini, con le loro idee e i loro comportamenti. Perciò, quello che ora vado a esporre è il frutto dei miei convincimenti e questo va sottolineato per chiarezza e forma; per l’appunto, come già in un articolo precedente, io credo che alla conferenza del Fomc del 15 dicembre 2021 Powell abbia illustrato la gestione di politica monetaria possibile e verosimile in questo attuale contesto: politica che inizia a essere restrittiva ma in maniera debole e graduale.
Questo per non strozzare l’eventuale e accertata ripresa economica in atto e al contempo cercare di non prestare troppo il fianco all’inflazione; personalmente, a me avrebbe convinto una politica monetaria più aggressiva, tenendo a mente tante distorsioni che si hanno sui mercati finanziari; una tra tutte è la differenza tra il tendenziale inflattivo Usa di novembre 2021 al 6,8% e i tassi effettivi dei trentannali dei Treasury americani al 2% circa: la differenza è un incredibile 4% di tasso di interesse negativo.
Del tutto chiaro che tale perdita viene sopportata dagli investitori istituzionali a motivo di due fattori: il premio da rischio per l’incertezza e l’aspettativa di rientro a breve dell’inflazione sotto il 4%; se tale aspettativa risulterà invalidata dai fatti, gli scenari si complicheranno, in quanto la modificazione profonda e vasta delle aspettative degli investitori istituzionali sarà benzina che si verserà sul fuoco inflattivo in atto dando il la a un incendio vastissimo.
Dati dunque i maggiori paletti all’azione della Fed sopra evidenziati, la stessa banca centrale ha qualche altro strumento per intervenire? A dirsi interventi di secondo livello? A mio parere, la risposta è affermativa, e il principale strumento che la Fed può potenziare in questo momento è l’innalzamento della selettività per ricevere liquidità; in sostanza, al di là del tapering e dell’innalzamento più o meno ventilato dei tassi, la Fed deve aver voce nella gestione attiva di far arrivare la moneta laddove meno accenda tensioni inflazionistiche; e allora, ad esempio sgonfiare prima del previsto il mercato immobiliare con procedure selettive di finanziamenti progettuali, favorire il più possibile un’edilizia per tutti e con servizi accentrabili. Ma in più, c’è lo scenario di intervenire sul settore sanitario per implementare un’assistenza medica molto più diffusa, gratuita e di qualità rispetto alle dinamiche di un settore privato assicurativo che tramite le logiche del mark-up è oramai pronto a grandi trasferimenti di prezzi sui consumatori finali.
La Fed dovrebbe partecipare, visto il suo ruolo negli Stati Uniti, a convogliare gli incrementi salariali maggiori dove più alta è la produttività del settore, e, per fare in modo di spegnere ulteriormente l’inflazione in atto, stare un poco al di sotto della dinamica dei prezzi al consumo, in maniera tale da iniziare un meccanismo virtuoso di spegnimento della corsa dei prezzi; quanto appena detto è uno degli esempi della politica dei redditi che adottammo in Italia negli anni ’80.
Residuano da tali scenari molti aspetti di crisi sociale a cui si deve andare incontro e a cui si deve anche provvedere; in sostanza selettivizzare gli aiuti per aiutare meglio e di più i più bisognosi ed esposti, riducendo interventi a pioggia e accettando dinamiche più pronunciate sui tassi di interesse, dinamiche però che la Fed dovrebbe tenere adeguatamente sotto mira.
Anche perché tutti gli interventi di politiche selettive sopra citati non sono appannaggio né esclusivo, né ordinario della Fed, ma la stessa può solo parteciparvi a titolo di coordinamento.
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