FRANCIA E ITALIA NEL SAHEL/ “Mosse diverse, l’obiettivo comune è controllare la Libia

- int. Marco Bertolini

La Francia dopo otto anni abbandona la missione Barkhane in Sahel. Farà parte della missione Takuba, europea, cui prende parte anche l'Italia

macron 4 lapresse1280 640x300 Emmanuel Macron (Lapresse)

Annuncio a sorpresa del presidente francese Macron che dichiara il disimpegno militare nella regione del Sahel con il ritiro graduale dei 5mila soldati impegnati da 8 anni nell’operazione Barkhane. Macron si dice stufo di doversi occupare dei paesi della regione (Niger, Mali, Burkina Faso) chiedendo loro che comincino ad attivarsi da soli per combattere le infiltrazioni terroristiche jihadiste.

Una visione alquanto ipocrita, quella del presidente francese, che non tiene conto che dalla fine del colonialismo la Francia ha sempre mantenuto un regime di controllo di questi paesi, sfruttandone le ricchezze energetiche e non facendo nulla per far nascere una cultura democratica indipendente.

“Sono parole decisamente ipocrite quelle di Macron” ci ha detto in questa intervista il generale Marco Bertolini, già comandante del comando Operativo di Vertice Interforze e della Brigata Folgore in molte missioni internazionali, “perché la Francia ha sempre controllato l’Africa centrale e occidentale dopo la fine del  colonialismo e soprattutto perché in queste zone ha mandato la missione Barkhane solo per i propri interessi e non per quelli europei”. Rimarrà in Mali solo la task force europea, sempre a comando francese, Takuba, di cui fanno parte 200 soldati italiani.

Una decisione improvvisa quella di Macron con l’annuncio della fine dell’operazione Barkhane e il graduale ritiro delle truppe francesi presenti nel Sahel?

In realtà non è una decisione improvvisa, la si aspettava. La presenza militare francese era già stata giudicata un relativo fallimento, ad esempio dal presidente del Burkina Faso. Quindi ci si aspettava che accadesse qualcosa. Macron da tempo sta cercando di coinvolgere altri paesi europei nel Sahel, è la prova della stanchezza della Francia a operare in quella zona.

Macron ha dichiarato che i paesi africani devono “assumersi le loro responsabilità”. Non è un po’ ipocrita, dopo che per decenni proprio la Francia ha tenuto questi paesi in uno stato di semi-colonialismo?

L’ipocrisia è lampante. La Francia è lì per i suoi interessi, non certo per gli interessi europei. Che parte di questi interessi coincidano anche con i nostri è altrettanto vero, non c’è dubbio che è interesse anche europeo e italiano controllare quello che succede nel Sahel, prima che sia fuori controllo e si scarichi sulle nostre coste.

Intendevo ipocrisia il dire che questi paesi devono darsi da fare da soli.

Assolutamente vero anche questo. Sono paesi che sono stati di fatto tenuti in una posizione di quasi colonialismo dalla Francia per le loro risorse naturali, esercitando una sovranità di Parigi in quella parte di Africa. A questa visione dobbiamo aggiungere il pasticcio che Sarkozy ha combinato in Libia. È certamente ipocrisia, ma i francesi se lo possono permettere, perché la Francia è un paese forte che può prendere decisioni, a differenza dell’Italia. Vediamo anche quanto sta succedendo negli Emirati Arabi.

La missione Takuba, a cui prende parte anche l’Italia, dovrebbe rimanere; a cosa potrà servire adesso?

Macron evidentemente vuol slittare l’impegno operativo dalla missione Barkhane, che è una missione interamente francese, alla missione Takuba, che invece nelle sue intenzioni dovrebbe essere europea, però sempre sotto il controllo di Parigi. Takuba rimane e ci interessa direttamente.

Però senza l’esercito francese rischiamo di pagare il prezzo più alto?

No, Takuba è comunque una operazione francese, noi rimaniamo a occuparci dell’aspetto sanitario, un ruolo limitato.

Non ci occupiamo anche di mentoring, addestramento e assistenza delle truppe locali in combattimento?

Sì, addestramento che però non impegna più di tanto. Sostanzialmente l’impegno principale rimane francese.

Le conseguenze di questo ritiro permetteranno agli islamisti di affermarsi?

Il Sahel è un bubbone purulento nel quale al Qaeda nel Magreb islamico e l’Isis si combattono tra loro e al tempo stesso contro la presenza occidentale. Combattono tutto quello che non è in linea con la loro visione fondamentalista, tra cui le comunità cristiane che stanno pagando un prezzo altissimo. È un bubbone pericoloso, che si può scaricare molto facilmente nel Mediterraneo tramite una Libia fuori controllo.

Americani via dall’Afghanistan, francesi via dal Sahel: è una resa al terrorismo? È finito per sempre l’interventismo occidentale nel Terzo mondo?

Non direi. L’interventismo, se viene sospeso in questi posti, verrà attuato da un’altra parte. Diciamo che è un momento molto delicato. L’Afghanistan non rappresenta un grande pericolo a livello internazionale, perché è un paese che non scarica all’esterno i suoi problemi e poi è ben controllato dall’Iran, che è sempre stato fortemente in opposizione ai talebani, dalla Cina e dalle repubbliche ex sovietiche che lo circondano. Il Sahel invece è un’area che è molto vicina a noi, è quell’autostrada che conduce alla Libia. Questo disimpegno francese non ci autorizza a disinteressarci dell’area, militarmente rimaniamo e non possiamo abbandonarla a se stessa. È un’area che ha un ventre molle, la Libia, che rischia di scaricarci addosso conseguenze molto pericolose.

(Paolo Vites) 

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