Martedì 13 settembre il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha annunciato una consultazione popolare sul tema del fine vita, nella prospettiva di pervenire ad un possibile nuovo “quadro normativo” entro fine 2023. Questi non esclude una nuova riforma attraverso il parlamento o tramite via referendaria. È in questa prospettiva che ha annunciato un “grande dibattito” organizzato dal Consiglio economico, sociale e ambientale (Cese) a partire da ottobre e con le conclusioni attese per il mese di marzo del 2023.
All’interno di questo dibattito, che dovrà essere organizzato dagli Spazi Etici Regionali – gli organismi già esistenti in ogni regione operanti sui temi della bioetica e dell’etica medica – il Consiglio si propone anche di avviare una convention citoyenne. Questo modello di consultazione, già realizzato nel caso del problema del riscaldamento climatico, è un organismo formato da un panel di cittadini costituente un campione rappresentativo della popolazione francese. Nel caso del clima era stato di 150 persone. Il suo compito è quello di “osservare, analizzare e proporre delle misure adeguate” sul tema di volta in volta definito. La convention agisce sotto la guida del Cese, è supervisionata da due garanti ed è assistita da un team di esperti.
Accanto ai dibattiti, che vengono attivati negli spazi etici regionali e presso le associazioni, si è qui dinanzi ad una struttura di rappresentanza puramente statistica che opera sulla base di un mandato temporale estremamente limitato (sei mesi) avvalendosi di un supporto di esperti che intervengono a titolo delle loro competenze professionali e non degli enti dai quali provengono.
L’obiettivo è qui quello di aggirare la frequente mancata rappresentatività degli eletti e dei corpi intermedi, riunendo un gruppo che, essendo il più diversificato e rappresentativo possibile come fascia d’età, luogo di residenza, ambiente sociale ed altri parametri, possa rivelarsi suscettibile di rappresentare al meglio gli interrogativi e le prospettive della base sociale. Interrogativi e prospettive che, altrimenti, sembrano destinate a diventare invisibili una volta entrate nello spazio delle correnti ideologiche, delle rappresentanze politiche e di quelle sindacali.
Al di là dell’originalità del modello, nel quale si coglie apertamente dietro le quinte il ruolo della sociologia, il ricorso al “grand débat” colpisce per il suo carattere estemporaneo rispetto alle urgenze attuali che vanno dalla guerra russo-ucraina attualmente in corso, al futuro della Nato, ai nuovi equilibri geopolitici internazionali, senza contare i problemi dell’ordine pubblico, dell’immigrazione irregolare e della riforma delle pensioni che attualmente scuotono la Francia.
Qualche analista, come Benjamin Morel, ha visto in questa decisione del presidente Macron una strategia per moltiplicare i dibattiti attuali, evitando che si concentrino intorno a pochi soggetti rilevanti. Una nuova esplosione come quella dei gilets jaunes – magari sul tema delle pensioni – potrebbe infatti ripetersi e la migliore strategia per prevenirla è certamente quella di frazionare e moltiplicare gli argomenti di discussione, evitando che la pressione, esercitandosi su uno solo di questi, possa rivelarsi insostenibile.
Soprattutto viene fatto notare come, almeno nel caso della precedente convention citoyenne per il clima, molti dei progetti varati alla fine di quel grand débat fossero già da tempo in fase di preparazione presso i diversi ministeri. Il grand débat rischia quindi di essere in realtà un modo per aggirare il dibattito parlamentare, presentando i risultati di un’istanza “di base” a partire dalla quale ogni opposizione parlamentare si trova costretta in una posizione di difesa.
Tra l’altro pochi altri temi, come quello del fine vita, si trovano a vivere una contraddizione estesa tra il forte consenso pro-eutanasia da parte dell’opinione pubblica (nessuno vuole soffrire inutilmente) assieme ad un altrettanto esteso attaccamento alla vita in presenza di cure palliative. Tutti i casi nei quali queste ultime possono arrestare le sofferenze, la richiesta di eutanasia retrocede enormemente, rivelando così l’altra grande verità che è quella che tutti vogliamo vivere. Non a caso l’attuale Comitato Consultivo Nazionale d’Etica ha dato parere positivo alla consultazione, ma solo a condizione che le cure palliative possano essere garantite a tutti.
Resta allora il problema, che è poi strettamente politico, dei diritti individuali, dove il soggetto rivendica quello di decidere la propria soppressione in quanto ritiene che la vita non possa dargli niente di meglio di quanto non abbia già avuto. Si tratta di scelte private espresse da personalità con un carattere forte e una vita densa di successo alle spalle. Ma quanti, arrivati a 91 anni come il regista Jean-Luc Godard, possono vantare lo stesso bilancio di vita e per quanti il problema del fine vita si pone in modo radicalmente diverso?
Il fronte dei diritti individuali prosegue la sua marcia trionfale ignorando gli effetti perversi che produce.
Come osserva Claire Fourcade, presidente della Società francese d’accompagnamento e di cure palliative, se nessuno sarà obbligato a chiedere di aiutarlo a cessare la propria esistenza, chiunque si sentirà dinanzi alla possibilità di farlo. Se da un lato, infatti, c’è il soggetto che, in piena autonomia, vede la propria morte come un problema personale della quale non deve rendere conto a nessuno, dall’altro si vedono gli effetti inattesi in quanti si chiederanno se abbreviare eventualmente la propria vita non sia, in fin dei conti, la scelta migliore non solo per sé stessi, ma anche per i propri cari, sui quali hanno la percezione di pesare e per la collettività stessa alla quale si sentono di appartenere.
La risposta non è di competenza della scienza medica, ma non si può ignorare il principio per il quale l’offerta crea la domanda. Si apre un futuro spettrale, nel quale ogni anziano, o chi si ritiene già tale, ma anche ogni persona depressa, dinanzi ad una situazione che percepisce senza via d’uscita, si troverà dinanzi alla possibilità di porre fine ai propri giorni. Ed è un baratro che non possiamo permettere che si apra. Nemmeno con un “grande dibattito”.
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