Era l’estate del 1942 quando Edward Teller presentò le sue scoperte sull’energia dalla fusione dell’idrogeno a un gruppo di fisici teorici convocato da Oppenheimer a Berkeley. L’idea era nata l’anno prima da una conversazione tra Teller ed Enrico Fermi (che di lì a poco avrebbe acceso il Chicago Pile-1, primo reattore a fissione nucleare).
Fermi si chiedeva se l’esplosione di un’arma a fissione potesse incendiare una massa di deuterio sufficiente per iniziare la fusione nucleare. Nell’incontro di Berkeley emerse l’idea di usare come combustibile termonucleare una miscela contenente deuterio e trizio (il deuterio è un isotopo dell’idrogeno con un protone e un neutrone nel nucleo, e costituisce lo 0,015% dell’idrogeno naturale; il trizio è un isotopo dell’idrogeno con un protone e due neutroni nel nucleo e può essere prodotto irradiando con neutroni il litio).
Dieci anni dopo (1 novembre 1952) gli Stati Uniti fecero esplodere “Mike”, la prima bomba all’idrogeno al mondo, sull’atollo di Eniwetok nelle Isole Marshall del Pacifico. La bomba sprigionò una potenza 500 volte maggiore di quella della bomba a fissione esplosa su Nagasaki.
Dal successo oltre le aspettative della bomba all’idrogeno nacque il progetto Sherwood, programma segreto del governo federale per sviluppare la produzione di elettricità dalla fusione dell’idrogeno. A questo progetto (e non, come comunemente si crede, dalla fissione nucleare) si riferiva Lewis Strauss, presidente della Atomic Energy Commission degli Usa, quando predisse nel 1954 che l’energia atomica avrebbe reso l’elettricità così economica che non sarebbe valsa la pena di misurarla.
Purtroppo la predizione entusiasta di Strauss non si è avverata. L’elettricità non è mai stata gratis e dalla fusione dell’idrogeno non si è ancora prodotta elettricità. Nei decenni seguiti al progetto Sherwood la ricerca sulla produzione di energia dalla fusione dell’idrogeno si è sviluppata esplorando strade diverse e assumendo una dimensione mondiale. Il pubblico è ormai familiare con il Joint European Torus (JET), esperimento di fusione che utilizza intensi campi magnetici al posto della bomba a fissione di “Mike” (!) per contenere l’idrogeno ad altissima temperatura (il “plasma”). Avviato nel 1983 nella campagna dell’Oxfordshire, JET avrebbe dovuto raggiungere nel 1989 il cosiddetto “breakeven” (pareggio tra l’energia immessa nel reattore e l’energia rilasciata dalle reazioni di fusione) utilizzando proprio una miscela di deuterio e trizio. Nella realtà JET, insieme agli altri esperimenti di minori dimensioni costruiti in numerosi Paesi tra cui l’Unione Sovietica (patria del “tokamak”, la configurazione più efficace per il confinamento magnetico del plasma, nata da una idea di Andrei Sakharov nel 1950), gli Usa, l’Europa e il Giappone, ha consentito di affrontare un insieme di sfide che si sono manifestate nel passaggio dalla teoria alla pratica.
Tra queste sfide vi sono la comparsa di instabilità, perdite anomale di calore, la contaminazione del combustibile, l’eccessivo carico termico sulle pareti di confinamento del reattore. Con pazienza e determinazione generazioni di scienziati si sono avvicendate fino ad arrivare nel 2021 al miglior risultato di fusione a confinamento magnetico: per 5 secondi il JET ha prodotto energia da fusione in misura pari al 33% dell’energia immessa nel reattore. Può sembrare poco, ma è una pietra miliare nella strada verso la realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica da fusione.
Il passo successivo è l’esperimento ITER che, a partire dal 2030, consentirà di raggiungere un guadagno netto di energia per una decina di minuti. La fiducia nei progressi della fusione è dimostrata anche dalle decine di imprese a capitale privato intenzionate ad accelerare il cammino verso l’elettricità da fusione mediante impianti più piccoli di ITER che incorporano innovazioni tecnologiche come i materiali superconduttori ad alta temperatura.
Era ancora viva l’eco dell’annuncio dei risultati del JET che un’altra fantastica notizia ci ha raggiunto questa settimana: per la prima volta sulla terra si è ottenuta la “accensione” di una miscela di deuterio-trizio, una sorta di scintilla nucleare in condizioni controllate. L’accensione è il punto in cui una reazione di fusione nucleare diventa autosufficiente. Ciò si verifica quando l’energia emessa dalle reazioni di fusione riscalda la massa di combustibile più rapidamente di quanto vari meccanismi di perdita la raffreddino. Il risultato è stato ottenuto nei laboratori militari LLNL a Livermore, California, dove la compressione del combustibile viene ottenuta mediante l’uso dei raggi laser potentissimi della National Ignition Facility (NIF) concentrati su una pallina di combustibile delle dimensioni di un granello di pepe. Lo scopo primario di questi esperimenti è la riproduzione in laboratorio di un’esplosione di una piccola quantità di idrogeno. Tuttavia la scintilla di Livermore non solo consente di realizzare una sorta di galleria del vento per bombe a fusione: 80 anni dopo le idee di Teller è stata raggiunta una pietra miliare nella storia che ci porterà, in un futuro non più remoto, a disporre di elettricità abbondante e inesauribile da fusione, come predetto da Lewis Strauss.
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