A Quarta Repubblica si torna a parlare di Garlasco: la legale si Alberto Stasi commenta la pista del Santuario della Bozzola e il supertestimone
Nella puntata di ieri sera di Quarta Repubblica – sempre in onda su Rete 4 nella prima serata di lunedì con Nicola Porro – si è tornati a parlare dell’estremamente discusso caso di Garlasco, con le nuove indagini che ufficialmente stanno puntando sulla figura di Andrea Sempio e i media che parlano sempre più ampiamente della (probabile) pista che conduce al Santuario della Bozzola e ai presunti loschi traffici dei quali si vocifera da sempre in quel di Garlasco: una pista che non sembra essere sotto l’attenzione degli inquirenti, ma che nel frattempo risulta potenzialmente coerente con l’accaduto per via di alcuni articoli che la stessa Chiara Poggi visionò sul Santuario, probabilmente scoprendo una qualche ignota verità che avrebbe fatto scomodo ai soggetti coinvolti.
Partendo proprio da qui, Quarta Repubblica ha ricordato che ad avvalorare la tesi del Santuario della Bozzola relativamente al delitto di Garlasco ci sarebbe stato – tra gli altri – anche il dottor Massimo Lovati, legale di parte per il nuovo indagato Andrea Sempio: il filo conduttore sarebbe l’estorsione sessuale ai danni dell’allora reggente del Santuario – don Gregorio Vitali – da parte di due soggetti romeni attualmente latitanti (dei quali uno citò anche Sempio e le gemelle Cappa come partecipanti a dei sedicenti festini nel santuario di Garlasco) che avrebbero provato ad ottenere soldi dal prelato per mantenere segreti alcuni video sessualmente espliciti che lo ritraevano; caso in cui intervenne il Vaticano e che si concluse con la condanna dei due romeni.
La legale di Alberto Stasi: “Santuario della Bozzola per ora è una pista solamente mediatica”
Presente nel salotto di Porro per parlare delle novità (vere o potenziali) su Garlasco, la dottoressa Giada Bocellari – storica legale di Alberto Stasi, presente fin dalla prima indagine – ha voluto chiarire che “per quanto abbiamo potuto capire fino ad adesso la Procura sembra avere una linea abbastanza chiara”, bollando – ma pur sempre precisando che “non possiamo escludere che siano connessi” all’omicidio di Garlasco – soprattutto come “mediatiche e giornalistiche” le voci sul Santuario della Bozzola, legate per ora esclusivamente “alle dichiarazioni del dottor Lovati“: il punto, insomma, è “essere precisi per evitare di mettere nel calderone cose che non c’entrano assolutamente nulla”.
Interpellata sulle ragioni per cui lei stessa all’epoca dei fatti del delitto di Garlasco indagò su quanto accadeva al Santuario della Bozzola, la dottoressa Bocellari ha spiegato che “arrivai ai suicidi perché, nelle intercettazioni del 2017 per il processo ad Andrea Sempio, lui stesso parlò di un suo carissimo amico che si era impiccato nel 2016″ e da lì scoprì tutta l’ondata anomala di suicidi a Garlasco; mentre, sulle ricerche fatte da Chiara Poggi e finite al centro della sua ormai nota chiavetta USB, la legale di Stasi suggerisce che “capire la ragione per cui fece queste ricerche potrebbe essere forse la chiave per risolvere l’omicidio“, pur sostenendo che “io non saprei spiegarle in questo momento”, per invitare gli inquirenti ad “approfondire il tema”.
Il supertestimone su Garlasco: “Non parlai perché un alto ufficiale dei Carabinieri mi mise in guardia”
Per approfondire ulteriormente il tema di Garlasco, la redazione di Quarta Repubblica ha anche recuperato la testimonianza del supertestimone Gianni Bruscagin, scoperto e portato alla ribalta dei media dalla trasmissione Le Iene: oltre a ripetere la sua ormai nota versione, l’uomo si è detto rasserenato “dopo il ritrovamento nel torrente” da parte degli inquirenti degli oggetti attualmente in fase di indagine in questo lungo filone di nuovi rilievi su quanto accaduto a Garlasco, perché “erano là dove io avevo indicato”, avvalorando il suo racconto.
Sul tema, la legale del condannato per il delitto di Garlasco si è limitata a ricordare che “la testimonianza necessita di un vaglio particolare di attendibilità e credibilità, e forse dopo 18 anni è difficile trovare dei riscontri, e sarà importante che venga chiarito per bene il motivo per cui ha taciuto per 18 anni”, ed è stato proprio lo stesso Bruscagin a chiarirlo, spiegando che “non avevo idea precisa di cosa fare perché era una cosa abbastanza grave, e ho deciso di andare da questo amico, un alto ufficiale dei Carabinieri, che mi sconsigliò di parlarne fino a quando non sarebbe stato il momento giusto, perché in quel momento le istituzioni non erano affidabili rispetto a quanto avrei dovuto raccontare, e mi sono fidato ciecamente di lui”.