Esaminiamo, a questo punto, nel dettaglio il percorso delle due materie prime più iconiche del mondo che ci daranno luce con altra angolazione di quanto detto prima, parliamo cioè di petrolio e oro.
Per il petrolio gli Usa si trovano in posizione di sudditanza rispetto a com’è organizzata la loro economia; nel senso cioè che a fronte di una domanda lorda giornaliera di 21 milioni di barili, la nazione ne produce 11-11,5 (di cui 5,5 dai giacimenti shale); il resto viene per 4,5 milioni circa dal Canada, per un milione dal Messico, il rimanente – a dirsi una quantità tra i 3 e i 4 milioni – viene importato dal resto del mondo, con la quasi totalità attualmente dal Golfo persico (comunque molti report affidabili mostrano che ancora tra i 200.000 e i 300.000 barili di petrolio importati dagli Usa sono russi, tramite triangolazioni delle più fantasiose).
È pacifico che grazie al Canada gli Usa abbiano una certa sicurezza energetica, compreso il ruolo del metano dove sono addirittura esportatori netti, ma a livello di sviluppo e benessere economico dipendono dal Golfo persico e dalla Russia; infatti, a fronte di circa 100 miliardi di dollari annui di spese per importare i 3-4 milioni di barili dal Medio Oriente, gli Stati Uniti esportano per un valore di 1.500 miliardi circa prodotti raffinati e derivati (gasolio, benzina, plastiche, polimeri, ecc.).
Quindi, per gli Stati Uniti, almeno nel breve/medio periodo, non è assicurata la protezione dalle oscillazioni dei prezzi del petrolio sui mercati mondiali che infatti si riversano nella loro economia; al momento dispongono di sole due leve indirette superficiali e in ultima analisi scorrette e con efficacia solo apparente per difendersi dalle oscillazioni di prezzo.
La prima leva è rappresentata dai tassi della Fed; se il dollaro è ancora moneta di riserva mondiale, aumentarne il rendimento ne fa aumentare la domanda speculativa accrescendone i corsi, e in tal modo rendendo molto meno care le importazioni, tra cui il petrolio, e quindi in sequenza calmierazione dei fenomeni inflattivi sul mercato interno; ecco perché la politica attuale della Fed di innalzamento dei tassi di interessi è di fatto una politica valutaria e per la minima parte una politica monetaria.
La seconda più subdola e scorretta è la manipolazione delle informazioni finanziarie, con l’uso di report totalmente dediti agli indirizzi del Tesoro americano; si pensi, ad esempio, quando Goldman Sachs prevede la drastica riduzione della domanda cinese per un trimestre x; questi annunzi sono oramai diventati dei veri e propri tentativi di aggiotaggio dato che un giocatore, e cioè gli Usa, non rispetta più la sostanza delle leggi del mercato, avendo fatto assurgere il dollaro a rango di materia prima e così facendo giocandola a loro totale discrezione, dato che per averla la stampano. Ma così non è, e lo sanno tutti compresi Wall Street e la Casa Bianca e il Congresso; quindi, stiamo navigando su un terreno pericoloso con un equilibrio faticoso e instabile che non può più durare a lungo stante le cose come si sono modificate.
L’altra materia prima che ci fa apprezzare l’altro lato della medaglia è l’oro, il quale oramai è visibile a tutti che da cinque anni a questa parte ha oramai i livelli minimi a 1.650 dollari/oncia, quindi un prezzo di lungo periodo molto più elevato dei 1.000 dollari di un decennio e poco più addietro; oramai dal 2020 le volte che l’oro più o meno a lungo ha superato in 2.000 dollari/oncia sono più di una decina, e a marzo-aprile 2023 si è toccato il nuovo record di 2.080 dollari/oncia; gli Usa, con la manipolazione di prezzo condotta dal dipartimento del Tesoro in modo diretto sul Comex di Wall Street e in modo indiretto sullo LBMA di Londra, cercano di calmierare e gestire tali valori; ma la diga di vecchia data non funziona più allo stesso modo e oramai nell’arco di tre anni ci si attende un prezzo medio di 2.150-2.250 dollari/oncia; teniamo presente, infatti, che se in qualunque momento entro tre anni dalla data odierna l’oro raggiungesse i 2.700 dollari/oncia, ciò vorrebbe dire la fine del dollaro come moneta degli scambi internazionali e come riserva maggioritaria delle Banche centrali.
Per completezza va riportato che la manipolazione diretta al Comex avviene tramite i derivati più speculativi del mondo, e cioè a fronte di una sola oncia fisica detenuta dalla clearing house si trattano 558 derivati collegati a quell’oncia; finora il meccanismo speculativo ha retto in quanto alla scadenza tutti gli acquirenti e venditori liquidavano le differenze della speculazione, dato l’interesse a tenere dollari reputati come materia prima e non l’oro. Invece, il modo indiretto della manipolazione effettuata allo LBMA di Londra consiste nel fatto che due volte al giorno per cinque giorni alla settimana, cinque grandi banche d’affari internazionali stabiliscono quale sia il valore unico della quotazione dell’oro in dollari; tale annunzio d’asta in modo teorico è basato sul peso statistico delle contrattazioni di tutti i mercati internazionali, ma è chiaro che tramite tale sistema si cerca sempre il livello minimo dell’intervallo di confidenza, per non parlare di altre cose molto più rare ma accadute.
Da tutto questo si percepisce appieno l’enorme volume di criticità del mondo finanziario ed economico internazionale odierno che fa correre rischi seri agli Stati Uniti e al mondo intero.
(3- continua)
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