Dopo la tregua tra Usa, Israele e Iran restano delle questioni economiche e finanziarie importanti da risolvere, specie per le Banche centrali
Se dopo l’intervento degli Stati Uniti sembrava che il conflitto tra Israele e Iran potesse allargarsi, la situazione è rapidamente cambiata fino ad arrivare alla proclamazione di una tregua tra le parti. Non prima di un lancio di missili da parte di Teheran contro la base aerea americana di Al Udeid, in Qatar. I mercati hanno accolto la notizia con un rialzo, mentre le quotazioni di petrolio e gas sono scese, venendo meno la possibilità della chiusura dello stretto di Hormuz.
Secondo Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, “la situazione è rapidamente cambiata perché gli americani probabilmente non avevano sufficientemente tenuto in conto le conseguenze che ci sarebbero potute essere a Hormuz, né la capacità degli iraniani di colpire le loro basi militari in Qatar. Diversamente non si sarebbero limitati ai bombardamenti dell’operazione “Martello di Mezzanotte” dello scorso fine settimana”.
Ha prevalso, quindi, la paura che l’Iran procedesse effettivamente al blocco dello stretto di Hormuz?
Sì. Anche solo la prospettiva che lo facesse nei giorni scorsi aveva fatto salire le quotazioni del petrolio e per l’inflazione negli Stati Uniti un ulteriore rialzo non sarebbe stato certamente positivo.
Non a caso Trump sul suo social era intervenuto per avvertire della necessità di tenere bassi i prezzi del petrolio per non fare il gioco del nemico…
Esattamente. Credo poi che, per quanto senza particolari conseguenze, l’attacco alla base militare in Qatar abbia trasmesso un segnale sul fatto che l’Iran può effettivamente colpire gli Usa e, quindi, la Casa Bianca abbia deciso di percorrere la via della tregua. Vedremo se sarà duratura. Sappiamo, infatti, che la posizione di Trump può cambiare da un momento all’altro. Inoltre, bisognerà anche capire come evolverà la situazione interna all’Iran.
Probabilmente ora si tornerà a parlare dei dazi. Lunedì il ministro dell’Economia Giorgetti ha spronato l’Ue a cercare di chiudere presto la trattativa con gli Stati Uniti con una tariffa al 10%. Cosa ne pensa?
Sarebbe una strada effettivamente percorribile, ma non si può escludere che Trump in qualche modo faccia marcia indietro sui dazi.
Come mai?
Perché da quando si è insediato, il dollaro si è già svalutato in maniera abbastanza sensibile. Il che vuol dire che esiste già un dazio implicito sulle importazioni delle merci provenienti dall’Eurozona.
Per Trump c’è anche da affrontare il problema del rifinanziamento del debito pubblico…
Un problema che è aggravato dalla minor importanza che il dollaro rischia di avere come valuta di riferimento per gli scambi internazionali. Sappiamo infatti che i Brics stanno portando avanti il loro progetto per la creazione di una moneta da utilizzare per gli scambi tra di loro e come riferimento per il cosiddetto Sud del mondo. Tutte le strutture necessarie sono pronte, a quanto si dice, e questi Paesi, capitanati dalla Cina, quando lo riterranno opportuno potranno dar vita a un concorrente temibile per il dollaro.
Trump ieri ha attaccato ancora Powell e sembra che anche all’interno della Fed stia crescendo il dissenso verso la scelta del Governatore di tenere fermi i tassi. Pensa che dovrà cedere?
È difficile da dire. Probabilmente esiste un dissenso all’interno della Fed sull’operato di Powell, ma non sappiamo quanto sia esteso. In questo momento l’economia americana è rallentata forse più di quelli che molti analisti si aspettavano, quindi la ricetta che appare più adeguata è quella di un taglio dei tassi di interesse. Non so, tuttavia, se darebbe i risultati sperati, anche perché negli Stati Uniti continuano a crescere le disuguaglianze e il numero di persone che farebbero fatica a fronteggiare una spesa imprevista. E questo non è un problema che si può affrontare solo con la politica monetaria.
Lunedì Lagarde ha evidenziato come sia alta l’incertezza sull’inflazione, anche perché l’Eurozona è particolarmente esposta al rischio di un rialzo dei prezzi energetici. Significa che la Bce lascerà i tassi invariati?
Il rischio di uno shock energetico per l’Europa dipende dalla geopolitica e, come abbiamo visto negli ultimi giorni, non è qualcosa che si può prevedere tanto facilmente. L’attuale fase di incertezza rende ancora più difficile il compito degli economisti, che non è comunque quello di fare previsioni. Se dovessi fare una scommessa, direi che il Consiglio direttivo della Bce lascerà invariati i tassi nella riunione in programma il mese prossimo.
(Lorenzo Torrisi)
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