Poiché siamo in un mondo più violento di ieri, i giovani pensano di proteggersi armandosi a loro volta. Ma la violenza non si batte in questo modo
La strage di Graz, in cui un ragazzo di 21 anni è entrato in una scuola austriaca armato di pistola e fucile uccidendo una decina di giovani, e l’omicidio in Francia, a Nogent, di una collaboratrice scolastica, Mélanie – accoltellata da un quattordicenne mentre controllava gli zaini all’ingresso – sono solo gli ultimi segnali di un malessere profondo, un disagio che anche piuttosto velocemente sta sfociando in violenza.
Potrebbe essere facile ricondurre tutto all’estrema facilità con cui è possibile trovare le armi, al bullismo e ad altri fattori scatenanti, ma così non si affronterebbe il problema primario che è principalmente educativo.
Qualche anno fa, durante alcune lezioni in una quarta superiore, cercai a lungo di spiegare perché fosse profondamente sbagliato girare con un coltello in tasca. Ogni mio tentativo si scontrava con obiezioni da parte degli studenti:
“Può essere pericoloso se ti trovi in certe situazioni”, “Prof, dovrebbe vedere che tipo di gente gira in discoteca, devo difendere me e la mia ragazza”, “Se ti fermano i carabinieri rischi grosso”, “Prof, un sacco di ragazzi girano con coltelli e droga in gruppi pericolosi, ma non gli fanno nulla. Io no, è più difficile che fermino me”.
Sembrava impossibile far breccia. E in un contesto come quello attuale, in cui la violenza, la guerra e perfino il male più insensato, sembrano bussare ogni giorno alla nostra porta, è ancora più difficile.
Ma poi, se ci pensiamo, chi tra noi adulti non ha mai pensato di blindare casa per proteggere la propria famiglia? Chi non ha considerato di acquistare qualcosa per difendere la figlia adolescente da possibili aggressori? Chi non si organizza per andare a prendere i figli dopo una serata in discoteca o non controlla compulsivamente la loro posizione sul telefono per assicurarsi che stiano bene?
Il problema è educativo, sempre. Viviamo nella paura di perdere qualcosa o qualcuno, e trasmettiamo questa paura ai nostri figli.
Anch’io sono stato adolescente, e anch’io pensavo che la forza consistesse nel riuscire a sopraffare l’altro nei momenti difficili. Il coltello poteva sembrare un’opzione possibile, tra le tante.
Ma la verità è che, per vivere oggi, serve fede. Nella mia esperienza di adolescente una compagnia di amici, guidata al bene, al confronto, al dialogo (anche con chi la pensava diversamente da me), alla realizzazione di gesti ed eventi che avessero a tema la bellezza o l’amore per il prossimo sono stati fondanti di una certezza di fede per la vita.
Non una fede ingenua o cieca, che si lascia sopraffare dai più forti, ma una fede ragionata e profonda: la certezza che il bene è possibile, che esiste ed è reale. Una fede che cambia l’uomo e trasforma la realtà in un luogo in cui vale la pena vivere, senza paura.
C’è anche bisogno di una fede certa che questa vita non sia tutto, ma solo un passaggio verso qualcosa di più grande, dove la paura non avrà più spazio.
E, più di tutto, abbiamo bisogno di adulti che non abbiano paura. Adulti capaci di portare questa fede nei luoghi dove vivono i nostri giovani. La scuola è uno di questi luoghi privilegiati.
O ripartiamo da qui per ricostruire la nostra società, o la violenza continuerà a crescere. E presto busserà anche alla nostra porta.
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