I dati sull'occupazione giovanile che sono contenuti nell'ultimo Rapporto annuale dell'Inps sono molto interessanti
Quando la Marina israeliana intercettò il battello che ospitava Greta Thunberg in versione “Free Palestine”, i militari obbligarono l’equipaggio a vedere le foto del massacro del 7 ottobre perché si rendessero conto dei misfatti dei loro “civili innocenti” vittime di un atroce “genocidio”.
Per ripristinare un’informazione corretta bisognerebbe – come è narrato nel “Decameron” – invitare i conduttori de La 7 e gli editorialisti di Repubblica (inutile perdere tempo con i giornalisti de Il Fatto che sono irrecuperabili) in una bella villa nella campagna toscana per intrattenerli con le lettura del XXIV Rapporto dell’Inps. Magari in qualche occasione potrebbero partecipare anche Maurizio Landini ed Elly Schlein, nella speranza che imparino qualche cosa di utile che li induca a essere più sobri nei comizi.
Cominciamo dall’occupazione giovanile. Nel Rapporto è contenuto un focus che viene completamente ignorato nel dibattito pubblico: cresce l’occupazione anche giovanile sia per i maschi che per le femmine. La variazione positiva tra il 2019 e il 2024 è stata, in valore assoluto, pari a circa un milione e mezzo di assicurati (+5,9%) di cui 719 mila di età fino a 34 anni L’incremento nella fascia di età under 35 (+11,2%) è stato, quindi, più che proporzionale rispetto al totale complessivo.
La crescita degli assicurati giovani rappresenta quasi il 50% di quella complessiva. Gli andamenti del numero medio di settimane lavorate (tabella 1.10) indicano per i giovani una continuità lavorativa inferiore rispetto al valore medio complessivo, ma crescente rispetto alla fascia di età.

Di rilievo la scomposizione della variazione di +719 mila giovani in base alla posizione lavorativa. Le gestioni autonome, infatti, hanno visto ridurre il numero di assicurati fino a 34 anni del 25,7% tra il 2019 e il 2024 (-8,1% solo nell’ultimo anno), a conferma di un trend di lungo periodo e soprattutto della poca attrattività del lavoro autonomo nei confronti delle nuove generazioni. I dipendenti privati contribuiscono per 547 mila unità alla crescita dei giovani, aumentando del 10,3% dal 2019 al 2024 (+2,7% nell’ultimo anno). Molto significativa è anche la variazione positiva dei dipendenti pubblici (+206 mila unità).
Considerando le principali caratteristiche anagrafiche degli assicurati giovani emerge che, se la variazione dei valori assoluti tra il 2019 e il 2024 è analoga tra donne e uomini (+747 e +749 mila rispettivamente, corrispondente come variazione percentuale a +6,7% e +5,2%), limitatamente alle fasce di età under 35 si ha una variazione sbilanciata verso gli uomini (+284 mila per le donne, +435 mila per gli uomini, corrispondente a +10,3% e +11,8% rispettivamente). A riprova, sul totale degli assicurati 2024 di qualsiasi età gli uomini rappresentano il 56,2%, mentre sul totale degli assicurati fino a 34 anni l’incidenza è quasi un punto e mezzo più elevata.
L’analisi della distribuzione territoriale della crescita degli assicurati è finalizzata a verificare se vi siano consistenti tendenze al riequilibrio territoriale delle opportunità di lavoro e delle connesse condizioni economiche. Si osserva che il Sud e le Isole, con un incremento degli assicurati del 7,4% tra il 2024 e il 2019, hanno conosciuto una dinamica positiva più intensa di quella delle aree del Centro-Nord. Anche l’incremento del numero medio di settimane lavorate è stato più significativo al Sud (da 40,0 a 40,8 settimane pro capite) e nelle Isole (da 40,5 a 41,1), riducendo, con riferimento alle durate medie degli impieghi, la distanza – che permane – dalle aree del Nord.
La rilevanza dello squilibrio Nord-Sud emerge nitidamente se, per disporre di un parametro di confronto, compariamo il rapporto tra assicurati Inps e popolazione in età lavorativa (15-64 anni) con il tasso di occupazione secondo Istat-Rfl. La quota degli assicurati sulla popolazione di riferimento è passata, al Sud, dal 47,3% nel 2014, al 49,2% nel 2019 e al 54,4% nel 2024. La distanza rispetto alle aree del Centro-Nord è molto cospicua, in particolare rispetto al Nord-Est: circa 25 punti di differenza.
Ed è a questo punto che gli amici del giaguaro giocano la carta della fuga dei cervelli, il fenomeno che vede molti giovani italiani espatriare in altri Paesi soprattutto europei. Ovviamente il processo viene presentato come se “partissero i bastimenti” carichi di giovani stipati in terza classe che fuggono da una condizione di miseria e indigenza, mentre le nuove emigrazioni corrispondono a esigenze e a programmi ben più diversificati. Ma il problema esiste, soprattutto perché l’esodo non è compensato dall’immigrazione da altri Paesi di giovani con le caratteristiche di coloro che se ne vanno.
Però il XXIV Rapporto Inps dà conto dei discreti risultati determinati dalle politiche del c.d. rientro dei cervelli. Le informazioni sugli effetti degli incentivi nel settore privato e pubblico denotano che, nel periodo osservato (2016-2023), il numero dei beneficiari è cresciuto in modo esponenziale, passando da poco più di 1.700 nel 2016 a oltre 40.000 nel 2023: i dati di flusso di ingresso mostrano effettivamente un numero crescente di beneficiari, con 10.000 unità soltanto nel 2022; complessivamente, le donne rappresentano circa un terzo del totale dei beneficiari, una quota che mostra un andamento crescente nel tempo, dal 28% nel 2017 fino al 36% nel 2023.
In termini di distribuzione dei beneficiari per età, se si effettua un focus distintivo sul genere e la cittadinanza si evidenzia una prevalenza nella fascia dei trentenni, ma anche una quota consistente di individui con più di 40 anni. Dal punto di vista del genere, i maschi tra i trent’anni superano le femmine di circa un terzo, la cui percentuale diminuisce per le classi d’età più anziane. La componente estera rappresenta quasi un terzo dei beneficiari in questa fascia di età, quota che va a crescere fino al 50% per le fasce d’età più anziane.

Come in tutti i casi in cui si prevedono degli incentivi per promuovere determinati comportamenti, ci si chiede se alla fine si sia effettivamente favorito il rientro di capitale umano che, in assenza della misura, non avrebbe fatto ritorno in Italia oppure se si siano prevalentemente premiati individui, italiani o stranieri, che avevano già maturato l’intenzione di rientrare, trasformando l’incentivo in un sussidio implicito a una scelta comunque pianificata. In questo secondo caso, la misura assumerebbe un carattere regressivo, premiando con un’agevolazione fiscale lavoratori di alto profilo e con redditi mediamente elevati, senza generare reali effetti addizionali in termini di rientri.
Nel Rapporto Inps la questione viene affrontata facendo riferimento a un recente contributo rilevante a che affronta il tema con un impianto metodologico fondato, utilizzando i dati sulle cancellazioni dall’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) e su una strategia di identificazione causale.
Lo studio si concentra sul primo regime agevolativo, la legge “Controesodo” in vigore tra il 2011 e il 2015, che era riservato esclusivamente ai laureati under 40. Questo vincolo consente di costruire un credibile gruppo di controllo, costituito da lavoratori di pari età ma privi di titolo di laurea, o da laureati con più di 40 anni, che pur avendo profili simili non avevano accesso alla misura. Prima dell’introduzione dell’incentivo, i tassi di ritorno per i diversi gruppi risultavano sostanzialmente allineati. A partire dal 2011, tuttavia, si osserva una significativa divergenza: i laureati under 40 mostrano un incremento del tasso di ritorno sostanziale rispetto ai non aventi diritto, effetto che può essere plausibilmente attribuito all’introduzione dell’incentivo fiscale.
In altri termini, vi è evidenza empirica che il regime agevolato, almeno nella sua versione originaria e più selettiva, abbia effettivamente determinato un aumento del rientro dei cosiddetti “cervelli”. Tuttavia – puntualizza il Rapporto – resta da verificare se analoghi effetti si siano mantenuti anche negli anni successivi, soprattutto dopo il 2019, quando il Decreto crescita ha ampliato notevolmente la platea degli aventi diritto, abbassando i requisiti di ingresso e aumentando l’entità del beneficio.
In tale contesto, è interessante capire se una parte crescente dei beneficiari possa aver colto un’opportunità fiscale su una decisione di rientro già maturata per ragioni personali o professionali o se, al contrario, gli incentivi hanno avuto un genuino effetto di attrattività nei confronti di capitale umano altamente specializzato. Analisi di tipo controfattuale sui dati più recenti saranno dunque cruciali per valutare l’efficacia dell’intervento, anche in termini di produttività aziendale, e orientare le scelte di policy future in modo più mirato ed efficace.
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