Girolamo Savonarola è uno dei personaggi più apprezzati della saga de I Medici, giunta alla sua terza edizione. Ne interpreta il ruolo Francesco Montanari, l’attore chiamato a dar vita al noto frate domenicano, originario di Ferrara, impiccato e poi arso sul rogo a Firenze insieme ai confratelli Domenico e Silvestro, con l’accusa di eresia. Nelle prime due puntate abbiamo visto emergere la figura di Savonarola come quella di un religioso indipendente rispetto alla casta religioso, più interessato a dare conforto ai poveri e ai malati piuttosto che ad occuparsi dei giochi politici e militari che interessavano la Chiesa del tempo. Una caratteristica, quella di non essere inquadrato negli schemi “classici” degli ecclesiastici dell’epoca, che nel 1497 lo portarono prima alla scomunica, per mano di papa Alessandro VI, succeduto a papa Innocenzo VIII (interpretato nella serie da Neri Marcorè) e, l’anno dopo, all’impiccagione e al rogo come “eretico, scismatico e per aver predicato cose nuove”.
GIROLAMO SAVONARA, IL FRATE “ANTI-CASTA”
Le sue prediche profetiche sulla necessità immediata del rinnovamento e della flagellazione della Chiesa, con tanto di aperte critiche nei confronti dei prelati e dei governanti, gli valsero le ire dei governanti che vedevano in quel “predicatore dei disperati” un pericoloso sobillatore. Fu ambiguo e controverso, come si avrà modo di vedere anche nella serie di Rai Uno, il rapporto con Lorenzo de’ Medici. Il Magnifico che ebbe a chiamarlo da Ferrara perché tornasse a Firenze, fu accusato da Girolamo di governare la Signoria con superbia e corruzione, sfruttando i poveri e falsificando moneta. Alle minacce di confino rispose di non curarsene, predicendo la prossima morte del Magnifico: “Io sono forestiero e lui cittadino e il primo della città; io ho a stare e lui se n’ha a andare: io a stare e non lui”. La notte del 5 aprile 1492 un fulmine danneggiò la lanterna del Duomo e molti fiorentini lessero nell’accaduto un cattivo presagio: tre giorni dopo il Magnifico morì nella sua villa di Careggi, ottenendo il conforto e la benedizione di Savonarola.
GIROLAMO SAVONAROLA, LA SCOMUNICA E IL ROGO
Le sue aspre critiche ai vizi della Chiese costarono a Girolamo Savonarola la scomunica da parte di papa Alessandro VI: in anni recenti è stato però dimostrato che l’atto che distrusse il frate era opera di una falsificazione orchestrata da Cesare Borgia. Il Pontefice protestò in maniera veemente affinché gli venisse consegnato Savonarola, poiché il suo intento era salvare quell’uomo che riteneva santo, ma non agì né mai svelò al mondo intero l’inganno perpetrato dall’amato figlio illegittimo a danno di un uomo che egli stimava come santo. Fatto arrestare e processato per eresia dal risorto partito dei Medici, Savonarola venne condannato a essere bruciato in piazza della Signoria con due suoi confratelli, Domenico Buonvicini, da Pescia, e Silvestro Maruffi, da Firenze. Nel bruciare un braccio del Savonarola si staccò, e si racconta che la mano destra parve alzarsi con due dita dritte, come a voler “benedire l’ingrato popolo fiorentino”.