La riforma della giustizia è depotenziata e insufficiente rispetto alle promesse. La stessa separazione delle carriere non c'è

Le gravi questioni internazionali, dalla guerra in Ucraina al riarmo europeo, hanno relegato le questioni interne in secondo piano. Ad avvantaggiarsene è sicuramente la riforma della giustizia, che gli oppositori più agguerriti, sulla stampa e nel mondo delle toghe, hanno messo paradossalmente al sicuro dietro lo “schermo” delle loro opposizioni preconcette, quando invece molti punti della riforma non corrispondono affatto alle promesse del governo, spiega al Sussidiario Stelio Mangiameli, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo. 



Secondo Mangiameli il tentativo di “migliorare lo standard costituzionale e legislativo della giustizia” c’è, ma la risposta è assolutamente depotenziata e in molti casi insufficiente.

Cominciamo dalla separazione delle carriere. È la novità sostanziale della riforma. Si fanno concorsi di ammissione diversificati, diverse norme interne per magistratura inquirente (pm) e giudicante (giudici). È o no una svolta?



Intanto la diversità della disciplina di accesso non è scontata e comunque dovrà fare i conti con il principio che “la magistratura” – ovvero, tutta la magistratura – “costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, come dice l’articolo 104 della Costituzione. Tale principio è alla base dell’ordinamento della magistratura ereditato dal fascismo e scolpito nel Regio decreto n. 12 del 1941.

Ma il disegno di legge costituzionale aggiungerebbe l’inciso che la magistratura “è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”.



Non basta, perché sarebbero solo le carriere ad essere separate. Anche le norme interne ai due rami terrebbero conto delle carriere separate, ma non è detto che si differenzierebbero realmente le posizioni.

Veniamo al Csm. La separazione dell’organismo di autogoverno rispecchia la separazione delle funzioni, ovvero delle due carriere.

Attenzione, i due Csm presieduti entrambi dal Presidente della Repubblica avrebbero solo funzioni di ordine amministrativo, mentre il profilo più rilevante, quello disciplinare, verrebbe attribuito ad un nuovo organo, l’Alta Corte disciplinare, non presieduto dal Presidente della Repubblica e nel cui seno confluirebbero entrambi i due rami della magistratura. Gli uni giudicherebbero gli altri e viceversa, per cui, al dunque, si ricomporrebbe ad unità ciò che si dice che si vuol dividere.

Attualmente il dibattito è segnato da una contrapposizione netta, da una parte il no alla separazione delle carriere, che intende difendere l’indipendenza dei pm dall’esecutivo, dall’altra l’attuale maggioranza, che si propone di cambiare ciò che non funziona. Come stanno le cose?

Innanzitutto, la separazione delle carriere e l’indipendenza dei pm dall’esecutivo sono due questioni completamente diverse. Nessuno può volere che i pm perseguano gli avversari del governo. La soluzione del conflitto politico, purché si mantenga nell’ambito della legalità, è di competenza del corpo elettorale e non sarebbe accettabile un intervento della magistratura. L’Italia, per fortuna, non è ancora la Turchia. Altro è, invece, chiedere che i giudici non abbiano commistioni con i pm.

Cosa pensa in merito?

È normale ritenere che i giudici abbiano regole di organizzazione che ne assicurino l’indipendenza e la terzietà, secondo i dettami del giusto processo, e anche una responsabilità differenziata. I pm sono una parte del processo, sia pure con una caratteristica particolare, quella di essere una parte pubblica, ma pur sempre una parte.

Vuol dire che le regole che dovrebbero regolare la magistratura requirente, i pubblici ministeri, dovrebbero essere loro proprie?

Sì; come quelle dell’avvocatura. La loro autonomia, inoltre, non dovrebbe culminare nella decisione di perseguire o meno determinati reati, a loro piacere; e neppure la loro responsabilità dovrebbe seguire delle deroghe rispetto a quelle degli altri servitori dello Stato.

Ci dica qualcosa in più della responsabilità

Quest’ultimo aspetto riguarderebbe soprattutto non tanto il dolo, ma la disciplina della colpa grave e lo spostamento dell’obbligo del risarcimento unicamente a carico dello Stato. Ora, nel caso dei giudici possono permanere queste limitazioni, mentre nel caso dei pm la responsabilità dovrebbe essere ricondotta alla disciplina dell’art. 28 della Costituzione.

Cosa significa?

Vorrebbe dire che la colpa grave non sarebbe tipizzata, ma vi potrebbe rientrare ogni negligenza grave che causa la “violazione di diritti” dei cittadini, e la responsabilità in tali casi si estenderebbe anche allo Stato, ma sarebbe in via di principio propria del magistrato.

Ma è vero o no che una parte di magistratura è politicizzata, e si concepisce come corpo separato che vuole fare politica al posto dei partiti? Gli stessi magistrati che fanno sciopero sventolando la Costituzione. Lei da che parte sta? 

Io sto dalla parte della Costituzione, e non basta sventolarla per far credere che la si vuol difendere. Nella Costituzione il rapporto tra magistratura e cittadini – perché di questo si tratta – è delineato non solo con riferimento alle prerogative dei magistrati, ma soprattutto al principio della tutela dei diritti e degli interessi legittimi, al diritto di difesa, alla realizzazione della giustizia attraverso un complesso di princìpi sparsi in tutto il testo della Carta.

In concreto?

Basti leggere l’art. 111 della Costituzione che richiama il giusto processo, il principio del contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale, il ricorso per Cassazione avverso gli atti limitativi della libertà personale, eccetera. Rispetto a tutti questi princìpi, i cittadini avvertono ormai da molto tempo che il diritto alla giustizia è recessivo e i magistrati hanno la massima parte della responsabilità.

Ed è una accusa è fondata?

Sì, perché hanno risolto la questione della giustizia in una relazione impropria con la politica, sia quando avversano una determinata parte politica, sia quando la supportano. Ovviamente esistono anche precise responsabilità politiche per questo malfunzionamento della giustizia.

Che cosa pensa dell’Alta Corte disciplinare? Non è il giusto rimedio all’autoreferenzialità del Csm attuale?

Direi proprio di no! Non solo perché ricompone l’unità della magistratura con le complicità tra i due rami, e basta considerare come sarebbe composta per capirlo. Ma soprattutto per quanto già espresso con riferimento alla responsabilità dei giudici rispetto ai pm. L’Alta Corte implicherebbe un codice unico della responsabilità.

La sua opinione, invece, sul meccanismo elettorale del Csm? 

Ovviamente, il riferimento costituzionale al sorteggio per la composizione dei due Csm e dell’Alta Corte è il minimo che si potesse prevedere dopo che il sistema correntizio e politicizzato della magistratura ha distrutto la sua credibilità, come ha mostrato il caso Palamara. In realtà, qualsiasi metodo di rappresentanza presenta dei limiti e molto dipende dalla qualità degli uomini, in questo caso dei magistrati.

C’è un meccanismo che assicura la qualità professionale dei magistrati sorteggiati?

No, nell’attuale assetto della magistratura non c’è. Può capitare quello intelligente e preparato come quello mediocre o lontano da ogni studio o poco propenso ad ogni approfondimento. Da tempo quello in magistratura non è più un concorso per uditore giudiziario, ma per consigliere di Cassazione: l’anzianità fa il resto. E questo modo di far progredire la carriera del magistrato mette a rischio la realizzazione del diritto alla giustizia.

Il governo della magistratura è dunque solo un aspetto della vicenda e nemmeno il più importante? 

È tutta la giustizia che in Italia non va bene: processi lunghi, diritti negati, le procedure sono iper-burocratiche, il giudice somiglia più a un passacarte che non ad un magistrato che ascolta, valuta e decide secondo diritto. Vale per il civile e per il penale. No, non è solo un problema di governo della magistratura. Certamente questo dovrebbe essere condiviso tra i professionisti del settore, magistrati, avvocati, docenti di diritto e il governo. Tuttavia, se i giudici hanno una loro idea di giustizia, gli avvocati la loro e il potere politico la sua, non vi può essere alcuna vera giustizia e certezza della legge.

Come bisognerebbe procedere? 

Occorre mettere a fondamento la stessa idea di “giustizia” e collaborare per riordinare l’amministrazione giudiziaria e penitenziaria, rivedere le procedure in funzione della soddisfazione dei diritti dei cittadini, curare l’esecuzione con la dovuta prontezza e ripagare gli errori commessi nei confronti dei cittadini.

Cosa ci dice del processo civile e penale?

Andrebbe implementato in un modo diverso, direi opposto, rispetto alle varie modifiche che in questi anni ha avuto e che hanno aggravato la situazione generale di questo settore. Oggi i giudici, più che di diritto, si occupano dei fatti e spesso li configurano in modo da farli quadrare con la loro idea del caso; invece dovrebbero valere ancora i princìpi del diritto processuale.

Vale a dire?

Il processo deve essere pronto, orale, con il contraddittorio tra le parti sull’acclaramento dei fatti, davanti ad un giudice che decide sul diritto conteso, al di là di ogni ideologia.

(Federico Ferraù)

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