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Home » Chiesa » Papa » GLI ULTIMI GIORNI DEL PAPA/ Perché il mondo senza Dio cercava Francesco?

  • Papa
  • Chiesa

GLI ULTIMI GIORNI DEL PAPA/ Perché il mondo senza Dio cercava Francesco?

Salvatore Abbruzzese
Pubblicato 23 Aprile 2025
Papa Francesco (Ansa)

Papa Francesco (Ansa)

La lezione di Francesco: presenza e punto di riferimento per tutti. Perché in un mondo secolarizzato tutti cercano la guida del papa

La scomparsa di Papa Francesco, per quanto preceduta da trentotto giorni di ospedalizzazione per una grave forma di polmonite bilaterale, ha colto tutti di sorpresa. La sua presenza alla benedizione pasquale Urbi et Orbi, probabilmente il più alto gesto dell’anno liturgico a disposizione di ogni pontefice, il giro della piazza San Pietro e il saluto alla folla dalla papamobile, la visita al carcere di Regina Coeli, l’incontro con il vicepresidente degli Stati Uniti e con i reali del Regno Unito (dove Re Carlo è anche il primo rappresentante della Chiesa anglicana) sono altrettanti gesti che hanno fatto sperare in un miglioramento del suo stato di salute.


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In realtà, visti con il senno del poi, gli ultimi giorni del sommo pontefice segnano un riassunto del suo intero pontificato, una sorta di testamento dell’essenziale che il successore di Pietro ha tenuto a ricordare al mondo.

La prima nota di una tale sintesi può essere certamente la volontà di Papa Francesco di stare dentro i conflitti e dinanzi a questi. Il mettere le mani nelle tensioni in corso, entrandovi in modo diretto (come è lecito per ogni dimensione profetica, che è sempre una presentazione di principi assoluti) per poi dialogare, ricevere ministri e plenipotenziari usando fino in fondo il proprio carisma d’ufficio, ha costituito una dimensione ricorrente nel suo pontificato.


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La seconda testimonianza è stata quella di un papa radicale, nel senso di andare alla radice dei problemi; non lesinando nel ricorso ad aforismi che consentivano l’affondo diretto. E quest’ultimi, tutti forniti di una forte capacità di comunicazione, non sono mancati: dalla Chiesa “ospedale da campo” alla società della “cultura dello scarto”, dal tempo della “terza guerra mondiale a pezzi” al riferimento ai medici che praticano l’aborto come ad altrettanti “sicari”. Tutti termini che traducono una decisa denuncia dello stato di fatto ed una volontà di scuotere le coscienze.


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La terza nota di una tale sintesi dell’essenziale va recuperata nella capacità di Papa Francesco di voler conciliare il suo essere costantemente alle periferie del mondo, assieme a quella di volerne frequentare il centro. L’abbraccio a tutti si è declinato sempre assieme ad una precisa volontà di essere là dove i “potenti” del mondo si riuniscono. I fedeli di Piazza San Pietro e il carcere di Regina Coeli – vere e proprie metafore del mondo e dell’antimondo – si sono così sommati agli incontri alle riunioni al massimo livello, come quello più recente al G7 a Borgo Egnazia del 14 luglio 2024, dove ha risposto all’invito fattogli dall’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Queste tre modalità di essere hanno richiesto un’attenzione costante all’ambito mediatico, moltiplicando le occasioni di incontro e non rinunciando a nessuno degli attuali mezzi di comunicazione: dallo scambio diretto con i giornalisti negli spostamenti in aereo alle interviste in televisione, dalle telefonate dirette agli incontri personali resi pubblici.

In questo senso Papa Bergoglio ha finito con il costituire una presenza costante, anche quando ciò era improponibile, come nel periodo del Covid: dalla visita a piedi alla statua del crocifisso della chiesa di San Marcello al Corso del 15 marzo 2020 alla preghiera e alla benedizione del 27 di quello stesso mese, in una Piazza San Pietro volontariamente vuota.

Una tale insistenza mediatica è stata tanto più rilevante quanto più Papa Francesco ha governato in una Chiesa che si è trovata a vivere in una società inattesa. Dove il principio di precauzione ha prevalso su ogni certezza; dove la secolarizzazione si è popolata di crescenti tensioni ed esplicite crisi; dove i conflitti si sono risolti in un aumento dei sistemi d’arma; dove l’intera economia internazionale si è trovata a fare i conti con i nuovi assetti geopolitici.

Questa società, nella quale tutti gli equilibri sono incerti e il futuro appare da anni sempre più oscuro, ha finito con l’essere la naturale interlocutrice di Papa Bergoglio: quella che, di fatto, è andata costantemente a legittimarlo. Il massimo livello di secolarizzazione del mondo ha finito così con il coincidere con la massima attenzione di quest’ultimo verso il capo della Chiesa cattolica.

Se, da un lato, mai come oggi la società, nei suoi costumi e nei suoi principi di riferimento, si è rivelata così autonoma rispetto ad ogni credo religioso, dall’altro è altrettanto vero che, mai come ora, il più alto rappresentante della Chiesa di Roma è stato così riconosciuto nel suo ruolo e chiamato ad essere presente, fino a fare del passaggio a Roma e della visita al Papa una costante per qualsiasi leader politico occidentale.

Ci si ritrova così dinanzi ad una situazione inattesa, dove alla secolarizzazione dei costumi non ha fatto minimamente seguito la marginalità dell’istituzione religiosa. Istituzioni laiche da un lato e carisma pontificio dall’altro hanno finito per convivere dentro lo stesso mondo, finendo per “essere sulla stessa barca”, come recita un altro degli aforismi cari a Papa Bergoglio.

Si arriva così alla verità che questo pontefice ha reso visibile: quella di essere il pastore di una società in crisi, la risposta della Chiesa ad un universo che da decenni vive un processo di scomposizione e di conflittualità, ma anche di fragilità crescente. Un processo che porta chi detiene responsabilità di governo a non trascurare risorse e energie che, come quella religiosa, danno una risposta proprio a questa scomposizione ed a questa conflittualità, finendo con il fornire un principio di ricostruzione.

Non si è trattato solo di essere “operatori di pace”, come spesso sommariamente si dice. La scommessa in gioco è molto più alta. Con Papa Francesco si è trattato di poter costruire un mondo nel quale la speranza non sia solo la virtù di pochi, ma finisca con il costituire la pretesa di tutti. In una società dove l’incertezza riappare costantemente alla superficie e il disincanto si riedifica costantemente come un tratto inaggirabile, dare legittimità alla speranza, trasformandola nella possibilità di definire un progetto di vita felice, costituisce un elemento sempre più indispensabile.

È in un tale contesto che i portatori di speranza diventano presenze preziose. Presenze che sono tanto più credibili quanto più arrivano ad esplicitare una convinzione di fondo attraverso la più radicale delle fedi: quella religiosa in un Dio che opera, accompagna, ma soprattutto aiuta ad edificare. Di questi “uomini della convinzione” il successore di Pietro costituisce l’esponente più deciso, del quale non è possibile fare a meno.

È una tale urgenza che Papa Bergoglio ha intimamente compreso, fino a convincersi di non avere più davanti a sé un universo indifferente, volto a guardare verso altri orizzonti e totalmente estraneo alla vicenda di un Dio incarnato. Ma, esattamente al contrario, si è sinceramente convinto di avere dinanzi a sé un mondo in ricerca, un mondo che ha sempre più bisogno di una speranza di rifondazione radicale, di una promessa di vita felice che non può produrre da sé, ma deve cercare all’esterno.

Così, accanto all’essere il Papa dell’inclusione e della presa di posizione, Papa Francesco si è dimostrato essere anche il Papa della presenza, volontariamente insistente e continua. Con la sua ostinazione ad esserci ed a farsi trovare, sempre, fino alla fine.

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Tags: Papa FrancescoGiorgia MeloniGoverno Meloni

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