Venerdì scorso si è tenuto un incontro a palazzo Chigi tra Governo e sindacati in vista della Legge di bilancio

In vista della Legge di bilancio, venerdì scorso a Palazzo Chigi si è tenuto un incontro tra Governo e sindacati. Oltre a Cgil, Cisl e Uil erano presenti anche Confsal e Ugl.

In buona sostanza, il ministro Giorgetti ha presentato il perimetro di una manovra che dovrà tener conto dell’esigenza di ridurre il debito – ancora gravato dal pesante lascito del Superbonus – e dell’urgenza di uscire in anticipo dalla procedura d’infrazione Ue, raggiungendo già quest’anno un livello di deficit inferiore al 3% del Pil.



Secondo i calcoli di Giorgetti e del dicastero dell’Economia, questa linea prudente può portare a una manovra per il 2026 di circa 16 miliardi di euro, nella quale è sì previsto un intervento di riduzione fiscale, ma non nella misura auspicata dai sindacati.

Questo aspetto, in particolare, ha suscitato reazioni diverse in ambito sindacale: la Cgil si è detta del tutto contraria, la Cisl ha parlato di proposte in parte accolte, la Uil ha sottolineato la necessità di detassare gli aumenti contrattuali.



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Com’è del resto noto, cosa su cui non vale nemmeno la pena di tornare, i bassi livelli delle retribuzioni italiane sono un caso unico non solo in Europa ma nell’intera area Ocse. Tuttavia, il recupero del potere d’acquisto rispetto a quanto eroso dall’inflazione di questi anni – in molti settori ancora distante – non può che essere un obiettivo minimo se il Paese vuole tornare a crescere. Il vero programma, più a medio termine, deve essere quello di rivalutare lavoro e salario. Perché la crescita passa di qui. Per almeno due ragioni:



1) tutte le economie avanzate, con la crisi del mercato globale, hanno come obiettivo il rilancio della domanda interna: ciò può avvenire soltanto con il rafforzamento del potere d’acquisto;

2) nella sempre più diffusa “crisi delle competenze” – che per l’Italia significa perdita dei suoi giovani che vanno all’estero in cerca di opportunità migliori – non c’è altra via che riconoscerne il valore: ciò può avvenire soltanto con la crescita delle retribuzioni.

È questo un tema cruciale del nostro futuro prossimo. Eppure, è un terreno su cui si è fatta e si continua a fare confusione: non è il salario minimo la soluzione ai bassi livelli retributivi – il problema vero è il vuoto delle retribuzioni intermedie – e non è il Governo che può determinare salari più alti: non ha senso immaginare che i salari crescano per gli equilibrismi fiscali della finanza pubblica.

Il Governo potrebbe certamente accompagnare imprese e sindacati in una nuova politica dei redditi. Ma i salari crescono se i contratti di lavoro prevedono aumenti. E se le imprese pagano retribuzioni migliori.

x.com/sabella_oikos

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