In Italia le vaccinazioni rallentano. Più precisamente, rallentano le iniezioni di prime dosi che sono quelle seriamente indicative della volontà di vaccinarsi. Ciò succede, in proporzioni diverse, anche in altri paesi europei che si stanno impegnando per sconfiggere il virus con la sola arma a disposizione. Nel seguito, cerchiamo di capire perché ciò succede e come possiamo uscirne.
Un altro fatto negativo accompagna il rallentamento della campagna vaccinale: la diffusione in alcuni paesi della cosiddetta variante Delta. Nel Regno Unito, questa variante è la sola in circolazione e imperversa. I dati di Figura 1 mostrano che, in quel Paese, i contagi da Delta sono arrivati quasi al livello di quelli delle tre ondate epidemiche precedenti, anche se sono già in fase regressiva. Il fenomeno Delta è iniziato nel Regno Unito verso la fine di maggio. Diciamo questo per far capire che il campionato di calcio europeo non c’entra con la diffusione della variante.
L’elemento particolare è che i britannici sembrano quasi ignorare la Delta, poiché, a differenza delle precedenti ondate che hanno causato oltre 120mila morti, porta raramente all’ospedale e ancor più raramente alla morte. La Figura 2, che descrive la mortalità da coronavirus, mostra che, attualmente, nel Regno Unito, i morti per Covid sono pochissimi. Il merito va ad una serrata campagna vaccinale che sta per raggiungere, verosimilmente nei primi giorni di agosto, il traguardo del 70% di popolazione inoculata, ossia il livello detto immunità di gregge, o di massa. In sintesi, nel Regno Unito (ma questo vale anche per l’India, dove sembra che abbia avuto origine), anche se è infettiva, la Delta fa molto meno male delle altre varianti.
Figura 1. Nuovi contagi da Covid-19 nel Regno Unito; ultima rilevazione 24 luglio 2021 (Fonte: Johns Hopkins University – CSSE)
Figura 2. Morti da Covid-19 nel Regno Unito; ultima rilevazione 24 luglio 2021 (Fonte: Johns Hopkins University – CSSE)
Facciamo il punto anche sulla situazione che ci interessa da vicino: in Italia le cose vanno tra bene e molto bene. I contagi sono pochi (Figura 3), le terapie intensive sono semivuote e i morti da coronavirus sono pochissimi, meno di sempre (Figura 4). La campagna vaccinale sta, dunque, dispiegando i propri benefici effetti.
Abbiamo inoculato un 60% di prime dosi, un valore molto alto, uno dei più alti al mondo (Figura 5). La campagna vaccinale ha però subìto nelle ultime tre settimane un brusco rallentamento che sposterà l’immunità di gregge a dopo l’estate. Anzi, se la campagna proseguirà con questi ritmi, chissà se ci arriveremo entro l’anno. Ciò non dipende da un cambio di politica nelle vaccinazioni, bensì da un’improvvisa minore disponibilità della gente a vaccinarsi. Tanto per capire l’importanza della frenata, nella settimana che va dal 17 al 24 luglio, la media giornaliera di prime dosi è stata di 120mila prime inoculazioni, mentre per tutto il mese di giugno è stata sulle 340mila. L’effetto-annuncio del greenpass ha portato a 8mila vaccinazioni in più rispetto al resto della settimana. Chissà perché è stato venduto dai comunicatori come un grande effetto. Il problema della fiducia esiste, eccome.
Figura 3. Nuovi contagi da Covid-19 in Italia; ultima rilevazione 24 luglio 2021 (Fonte: Johns Hopkins University – CSSE)
Figura 4. Morti da Covid-19 in Italia; ultima rilevazione 24 luglio 2021 (Fonte: Johns Hopkins University – CSSE)
Siccome non ci sono dubbi sul fatto che la situazione positiva del nostro Paese è merito dei vaccini, è opportuno capire perché alcune persone esitano a vaccinarsi. Uno dei motivi è la storica, viscerale, diffidenza di alcuni nei confronti dei vaccini. Secondo l’indagine internazionale svolta dall’Imperial College di Londra (https://ourworldindata.org/covid-vaccinations), in Italia è refrattaria alla vaccinazione il 15% della popolazione adulta. Si noti che questa percentuale è una tra le più basse al mondo; per esempio, in Francia la proporzione è del 31% e negli Stati Uniti è del 29%. Ciò significa che, anche se si impegnasse allo spasimo, la Francia non potrebbe arrivare al 70%. A meno che il governo francese non imponga a qualcuno l’obbligo di vaccinazione.
Un altro 8% degli italiani è indeciso se vaccinarsi oppure no. Dallo studio sugli indecisi svolto dall’Imperial College mostra che almeno tre quarti di questi, seguendo l’esempio della maggioranza dei britannici, si sono vaccinati. Se in Italia gli indecisi seguissero l’andamento del Regno Unito, quell’8% di connazionali dubbiosi si ridurrebbe al 2%.
Quindi, insistendo, si potrebbe vaccinare in Italia almeno l’83% degli adulti. Per l’immunità di massa basterebbe raggiungere il 70%, pertanto, ogni numero maggiore di questo ci darà la misura di quanto l’Italia sia credibile ogni volta che fa sul serio. E non solo quando gioca a calcio, dove l’impegno riguarda 11 persone o poco più. Sulla lotta al virus si deve impegnare un popolo, anche perché la posta in gioco è molto, molto importante.
Milioni di persone a rischio non sono ancora vaccinate. Come dimostra la Figura 5, il 96% degli italiani ultraottantenni e l’86% di coloro che hanno dai 60 ai 79 anni ha avuto almeno una dose. Sono tanti, ma non sono tutti. Tra i non-vaccinati, i multiproblematici, in caso di contagio, sono esposti al rischio di gravi conseguenze. Questi dati si giustappongono a quelli dei giovani e delle persone nelle età di mezzo: le persone sotto i 50 anni che sono state vaccinate sono circa il 57% (per la precisione, sono il 58% dei 25-49enni e il 54% dei giovani tra 18 e 24 anni), le quali, se contagiate, raramente manifesteranno effetti gravi, però possono diventare veicoli di contagio per i non vaccinati.
Quindi, va fatto un lavoro capillare di sollecito alla vaccinazione di tutti gli anziani, come si sta facendo in tutto il mondo occidentale. Inoltre, quel 54% di giovani che si sono messi in fila per il vaccino dimostra che la larga maggioranza dei giovani è sensibili al tema. Lavorando sulla necessità di rendere sicuri gli incontri “edonistici” tra giovani, si può arrivare a percentuali ben più elevate; poi, imponendo forme garantiste per l’accesso a scuola, si possono ottenere percentuali ancora superiori. Una volta convinti i giovani, sarà molto più facile indurre le età di mezzo, tipicamente più responsabili, a vaccinarsi.
Dai dati ufficiali risulta che quasi tutti gli anziani hanno avuto anche una seconda dose, mentre non l’ha ancora avuta il 23% dei 25-49enni e il 30% dei 18-24enni. Ciò non è problematico dal punto di vista sanitario, ma indica che c’è diverso lavoro da fare per completare la vaccinazione. In definitiva, la campagna vaccinale deve ripartire con rinnovata lena, supportata da “pubblicità progresso”, poiché l’aver vinto un’importante battaglia non significa aver vinto la guerra al virus.
Figura 5. Percentuale di popolazione italiana che ha avuto almeno una dose di vaccino al 23 luglio 2021, per classe d’età
Purtroppo, la mala-informazione che esalta il pericolo della Delta sta inducendo la gente a rinchiudersi e a difendersi da sé, come faceva prima. Ciò spiega la persistenza della mascherina all’aperto da parte di così tanti. Inoltre, le posposizioni nella vaccinazione fanno ipotizzare che molti segretamente temano che i vaccini sono scarsamente utili, perché – suggerisce subdolamente la mala-informazione – tanto ci si ammala lo stesso e i vaccini stessi possono dare problemi.
In una situazione di incertezza, anche il diffondersi di un raffreddore da virus può aumentare la titubanza verso i vaccini. Figuriamoci come reagisce la gente se si dice che oggi, a campagna vaccinale avanzata, diciamo che tutto è come prima, che bisogna cominciare daccapo. Invece, ribadiamo la verità nuda e cruda che abbiamo scritto dianzi: la Delta c’è, anzi ci sarà ancora di più; tuttavia, non solo fa meno male delle altre varianti, ma non fa male per niente a chi è vaccinato.
A questo punto sorgono spontanee due domande: 1) Perché ai contagi da Delta non fanno seguito le gravi conseguenze a cui eravamo abituati durante l’anno e mezzo di impero del virus? 2) Che cosa dobbiamo fare se la Delta si diffonderà?
Abbiamo, purtroppo, solo parziali risposte alla prima domanda. Bisognerebbe, infatti, fare una seria indagine epidemiologica per capire perché il contagio da Delta non provoca gravi conseguenze. Dai dati ufficiali sopra riportati, si capisce solo che la Delta è una variante blanda, vale a dire che, almeno per questa volta, la variante più diffusiva è quella meno dannosa. Quindi, teniamo sotto controllo chi entra in ospedale perché sta veramente male e non chi è positivo ad un tampone, positività che può indicare tutto o niente. Inoltre, buttiamo nel cestino la statistica detta “tasso di positività”, ossia il rapporto tra quanti sono positivi e quanti sono “tamponati”, poiché si tratta di un rapporto fortemente condizionato dal denominatore (i tamponati rintracciati), il quale è soggetto ad ogni fluttuazione casuale e ad ogni distorsione nella misura.
Resta il rischio che, quantunque non faccia male oggi, il virus possa far male domani. Purtroppo, nessuno sa realmente come stanno le cose perché nessuno le ha studiate come meritano. Solo un insieme di indagini mirate potrebbe confermare o cancellare il rischio. Il fatto che non si facciano indagini o esperimenti non depone a favore di chi dovrebbe promuoverli (tra gli altri: Organizzazione mondiale della sanità, Eurostat, Istituto superiore di sanità, ministero della Salute), poiché, nell’ignoranza generale, le affermazioni di un citrullo rischiano di valere quanto quelle di un savio. E, come si può apprezzare in tv, i citrulli sono spesso più ciarlieri.
Noi speriamo che i governanti che hanno seriamente a cuore la salute fisica e mentale degli italiani agiscano convinti che solo il vaccino, e non una nuova chiusura, ci salverà. Si inducano, pertanto, le persone di buona volontà a vaccinarsi. Gli altri sono a rischio di ammalarsi, certo, però non si può tenere un Paese inchiodato alla croce dell’emergenza perché qualcuno si rifiuta di vaccinarsi. La parte vitale del Paese, che è largamente maggioritaria, ha bisogno di respirare, di muoversi, di lavorare, di fare impresa, di fare famiglia, di investire, di pensare al futuro, in sintesi, di tornare a vivere normalmente.
Siamo, infatti, soggetti ad un altro grave rischio: il rischio che la gente consideri normale lo stare rintanati in casa senza lavorare, ed eccezionale il contrario. Quanto più a lungo dura l’emergenza, tanto più essa sarà concepita come norma. Facciamo come nel Regno Unito: dichiariamola finita e prendiamo provvedimenti a garanzia, è molto meglio che prolungarla. Va dato un forte segno di discontinuità e di tendenza verso la normalità. Prorogare l’emergenza sarebbe angoscioso per la gente e controproducente per la credibilità delle istituzioni.
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