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Home » Esteri » Medio Oriente » GUERRA IN LIBANO/ Dopo il “messaggio” a Hezbollah, le incognite che cercano risposta in Israele

  • Medio Oriente
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GUERRA IN LIBANO/ Dopo il “messaggio” a Hezbollah, le incognite che cercano risposta in Israele

Giorgio Laici
Pubblicato 23 Settembre 2024
Raid israeliano nel sud del Libano (Ansa)

Raid israeliano nel sud del Libano (Ansa)

Hezbollah ha risposto ai bombardamenti israeliani on il lancio di 150 missili e si dice “pronto a ogni scenario”. La minaccia di Netanyahu

Sale ancora, se possibile, la tensione in Medio Oriente, e appaiono lontane le prospettive di stabilità anche geopolitica in quel quadrante. Dopo la detonazione a distanza dei dispositivi elettronici che hanno decimato i quadri dirigenti di Hezbollah, Israele ha attaccato una roccaforte di Hezbollah a sud di Beirut. Nell’occasione due missili lanciati da un aereo hanno colpito l’edificio nel cui seminterrato c’erano Ibrahim Aqil e altri 10 alti ufficiali di Hezbollah, protetti da scudi umani. Il gruppo stava pianificando un altro attacco stile 7 ottobre nel nord di Israele. Tra le vittime anche un ufficiale iraniano, Muhammad Redai.


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Aqil era il successore di Fuad Shukr, ucciso il 30 luglio a Beirut in un attacco simile. La carriera terroristica di Aqil era cominciata nel 1983 con attacchi mediante camion bomba contro strutture USA e francesi a Beirut che erano costate la vita a oltre 300 persone. Per questo ed altro, sulla testa di Aqil gli USA avevano posto una taglia di 7 milioni di dollari.


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Per pareggiare i conti, dal Libano sono stati lanciati un centinaio di missili verso la base dell’intelligence ebraica di Meron, origine del colpo dell’IDF. Sono stati colpiti anche siti di produzione militare.

Oltre alle solite reazioni dei diretti interessati libanesi e palestinesi, Hassan Nasrallah il 19 settembre nel suo discorso pre-registrato in differita, oltre a promettere vendetta, ha affermato che con la pace a Gaza cesseranno anche i lanci di missili sulla Galilea. L’Iran fa appello all’unita islamica per rimuovere l’entità sionista, ma i guarda bene dal dichiarare guerra. Si distingue la posizione russa, che per bocca della portavoce Maria Zakharova auspica una de-escalation del conflitto. Tacciono i turchi e gli arabi. Tace anche la Cina, secondo il principio: se un nemico – gli Usa – si impantana in un conflitto, non lo distrarre.


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Oltre la cronaca però dobbiamo porci delle domande. Dal 2017, con la fine dell’occupazione siriana, il Libano – anche a causa di Hezbollah – non si è ancora stabilizzato e questo non permette una reazione univoca. Il Libano non è la striscia di Gaza. La coesione intorno ad Hezbollah è minore ed è limitata alle zone di influenza diretta del movimento, la zona sud al confine israeliano, la valle della Bekaa a oriente, Beirut e la sua periferia sud. Minore è anche la forza degli sciiti nel mosaico destabilizzato libanese. Detto questo, basterà ad Israele questo colpo micidiale per annichilire i libanesi e chiudere la partita? o avremo un’altra Gaza, dove, dopo 40mila vittime palestinesi, un territorio desertificato e un anno di guerra, ancora Hamas resiste ed anzi con la sua propaganda vincente sta creando problemi a tutto l’Occidente? I persiani cosa faranno? continueranno con i proclami o reagiranno alla Caporetto di Hezbollah?

Il piano tattico ha cominciato ad incrinarsi con l’assassinio di Fuad Shukr. Ora Hezbollah è in ginocchio e sarà difficile per il “partito di Dio” rialzarsi; i suoi uomini saranno costretti a nascondersi molto in profondità. Fino ad ora l’Iran, procurando guerra con i suoi proxy palestinesi, libanesi e yemeniti, aveva cercato di stancare Israele ed i suoi alleati anche cercando di impressionare le opinioni pubbliche occidentali. Fondamentalmente però Hezbollah aveva più una funzione deterrente e la sua forza non è commisurata per una guerra vera. Ora invece Nasrallah ed i suoi sono entrati nella spirale di una guerra vera né desiderata né aspettata. Anche se dopo i missili sui bimbi drusi di Majdal Shams costato 12 morti sappiamo come può reagire il partito di Dio sotto pressione.

Ma le domande sono anche altre. Sono pronti a Tel Aviv ad infilarsi in una guerra totale che potrebbe infiammare tutto il quadrante mediorientale senza poterne prevedere i costi anche umani, durata e possibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati? È pronta Israele a scommettere ancora sull’inaffidabilità e le divisioni tra i suoi nemici e sull’aiuto incondizionato dei Paesi occidentali?  È possibile un accordo con Hamas per la liberazione degli ostaggi, o quanto meno la restituzione dei corpi? Cesserebbero allora i lanci dal Libano e gli sfollati potrebbero tornare a casa? Oppure nulla di tutto questo è possibile fino alla soluzione della guerra ucraina, che vede in Medio Oriente solo un fronte accessorio per drenare le risorse  dell’Occidente?

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Tags: Benjamin Netanyahu

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