Per Ghazi Hamad, tra i leader di Hamas, il 7 ottobre è stato un successo perché il mondo è tornato a parlare della Palestina dopo 77 anni a ignorarla

Intervenuto nel corso di una trasmissione di Al Jazeera, Ghazi Hamad – tra i più importanti esponenti di Hamas – si è lanciato in un lungo ragionamento sulla guerra in corso da ormai (quasi) due anni ininterrotti contro Israele partita con gli attacchi del 7 ottobre del 2023 e che ora – a suo avviso – starebbe conducendo a un risveglio globale, con l’Occidente che finalmente inizialmente a porre la sua attenzione sull’eterna (ed eternamente ignorata) causa palestinese.



Non a caso, Hamad ci tiene a sottolineare innanzitutto che Hamas non è composta da “terroristi”, ma da persone impegnate nella “lotta per la nostra liberà“: in tal senso, il 7 ottobre sarebbe stata la “risposta a 77 anni di crimini israeliani” alimentanti dal fatto che “il mondo ha ignorato il nostro dolore” e dimostrati dal fatto che “prima del 7 ottobre [nessuno] stava discutendo della Palestina” negli alti palazzi della politica internazionale.



Proprio per questa ragione, l’esponente di Hamas rivendica che “il 7 ottobre ha cambiato tutto”, con i palestinesi che hanno scelto di “resistere” e non “arrendersi” e tra i successi più importanti dell’operazione avviata dai miliziani di Hamas ci sarebbe proprio il fatto che “il mondo riconosce nuovamente la Palestina“; senza dimenticare che nel frattempo “l’immagina di Israele come democrazia è andata in frantumi” assieme al “mito dell’invincibilità israeliana”.

Ghazi Hamad: “Hamas non consegnerà le armi a uno stato genocida e farà parte dell’esercito della Palestina”

“Israele – spiega ancora l’esponente di Hamas – vuole privare i palestinesi della loro identità, dei loro diritti e di ogni senso di esistenza nazionale” e per questa ragione l’uso delle armi era l’unico modo per tenere viva “la causa palestinese”: lo dimostrerebbe il fatto che “quando l’ANP ha rinunciato alla resistenza armata e ha riconosciuto Israele” ha solamente aperto le porte a “insediamenti, furti di terre e umiliazioni“, durati – ormai – “30 anni” e con l’unica garanzia di alcuni sporadici “aiuti umanitari” ricevuti dall’occidente.



Il premier di Israele, Benjamin Netanyahu, alla Knesset (Ansa)

Deporre le armi adesso, secondo l’esponente di Hamas, significherebbe solo “consegnarle a uno stato coloniale criminale, genocida e basato sull’apartheid“; mentre – al contrario – quando “l’occupazione finirà e verrà istituto uno Stato palestinese, le nostre armi diventeranno parte dell’esercito dello Stato“, esercito che già ora – con le poche risorse di cui dispone – è stato in grado di “resistere all’esercito più forte della regione per quasi due anni”, perché nonostante Hamad non neghi la “distruzione” a Gaza, al contempo rivendica che “Israele non ha vinto“.