Serpeggia una certa delusione dopo tanta attesa. I primi 4 episodi de I Leoni di Sicilia, la serie tv tratta dai due omonimi bestseller di Stefania Auci dedicati al trionfo e alla decadenza della famiglia Florio, sono disponibili da mercoledì 25 ottobre su Disney+ e già hanno aperto un dibattito che difficilmente metterà d’accordo gli accesi critici e i sostenitori entusiasti. Del resto identici e contrastanti sentimenti avevano accolto anche la stessa ricostruzione storico-letteraria dell’autrice siciliana, che aveva preferito per raccontare la sagra dei Florio il genere “romanzo popolare” piuttosto che quello della fedele biografia.
Andiamo subito al punto. Noi italiani non amiamo la nostra storia. O meglio, non amiamo i protagonisti dell’Italia contemporanea, le persone che hanno avuto successo, chi ha avuto intuizioni geniali e ha contribuito alla crescita economica e sociale del Paese, alla sua ricchezza. Cerchiamo il pelo nell’uovo, pensiamo sempre che i meriti siamo stati di altri e che ci sia qualcosa di nascosto o di losco da svelare. Il tema si rivela centrale anche questa volta. Nel caso specifico, lo scetticismo è accresciuto dal fatto che stiamo parlando di una poverissima famiglia calabrese-siciliana che a cavallo dell’800, partendo dal ricco business del commercio di spezie, si trasferisce a Palermo e tenta la strada dello sviluppo capitalistico, con le modalità e le regole scoperte (e copiate) da altri Paesi, a cominciare dall’Inghilterra. È un tentativo intelligente quello della famiglia Florio: investire i capitali accumulati nella straordinaria disponibilità di materie prime di cui dispone la Sicilia (zolfo, sale, tonno, olio, vino) per dare vita a un coraggioso progetto di sviluppo.
Come tutti i capitalisti del mondo anche i Florio hanno bisogno di appoggi politici, funzionari compiacenti e dello sfruttamento della forza lavoro, a cominciare dal lavoro minorile utilizzato nelle solfatare. Siamo nell’800, ovviamente. Il tentativo è al di là di ogni immaginazione eppure riesce, gli uomini della famiglia Florio non perdono di vista, nei vari passaggi generazionali, l’obiettivo da raggiungere a ogni costo e nel giro di qualche decennio ottengono risultati economici ragguardevoli. Non solo per quello che sono ricordato oggi (il tonno sott’olio, il vino dolce di Marsala e la corsa automobilistica intitolata Targa Florio) ma soprattutto per il ruolo di armatori e di grandi immobiliaristi, e non solo in Sicilia.
Proprio in virtù di una forza economica che dipendeva anche da concessioni governative, i Florio con l’Unità d’Italia (la famiglia annovera anche un Senatore nel parlamento unitario) subiscono gli effetti di quello scontro durissimo che si consumò tra destra e sinistra, tra i rappresentanti del Sud e quelli del Nord, che è all’origine della “questione meridionale”. Per quanto appoggiati da Francesco Crispi (avvocato dei Florio prima di diventare presidente del Consiglio), gli imprenditori siciliani si vedono togliere le concessioni marittime dai successivi Governi Depretis, uomo padano, punto di riferimento degli imprenditori del Nord. La perdita del business marittimo apre la strada al tracollo finanziario della famiglia.
Nei romanzi della Auci questo difficile equilibrio tra il ruolo economico avuto dalla famiglia Florio nella storia economica del Mezzogiorno e la loro vita privata – sentimentale e mondana – e che ovviamente aveva come protagoniste le donne della famiglia (dalla capostipite Giuseppina, moglie di Ignazio, a Giulia Portalupi, l’amante milanese di Vincenzo, fino a donna Giulia Florio, l’ultima dei Florio, morta nel 1947) aveva trovato una giusta soluzione. Nella serie tv questo equilibrio si perde totalmente, trasformando l’intero racconto in una storia senza contesto, riducendo l’epopea dei Florio a uno scontro tutto siciliano tra borghesia in ascesa e nobiltà decaduta.
Diciamo anche che – proprio parlando di “picciuli” – la disponibilità limitata di risorse ha impedito di realizzare un’opera che, per gli eventi ricordati, avrebbe richiesto ricostruzioni ben più costose. Le scene di massa spesso sono ridotte a pochi fotogrammi con un misero numero di comparse. Per non parlare della scelta dei costumi. Ben altro impegno è stato messo sulla scelta delle ambientazioni, evidentemente facilitata da una fantastica esibizione delle più belle residenze siciliane.
Nulla toglie questa critica di fondo al lavoro del cast, dove si affermano soprattutto nel terzo e quarto episodio i due protagonisti, la brava Miriam Leone nei panni di Giulia Portalupi e Michele Riondino, nel ruolo di Vincenzo Florio. Splendida la fotografia, mentre lascia a desiderare la realtà virtuale di ambienti storici che era necessario ricostruire. Discorso a parte merita la scelta della colonna sonora, composta con musica moderna e ritmi contemporanei, chiaramente ispirata a serie di successo come Bridgerton e Peaky Blinders. La tentazione è stata forte, soprattutto per quanto riguarda i riferimenti alla famosa famiglia criminale di Birmingham. Scelta che lascia trasparire la convinzione degli autori – dalla camminata spavalda a qualche comportamento guascone – che quella sottile linea tra il lecito e l’illecito tutto sommato i Florio l’abbiano più volte superata.
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