Papa Francesco ha coniato alcuni neologismi per lo più provenienti dal lunfardo pr esprimere concetti teologici e pastorali
A papa Francesco le parole fornite dal vocabolario non bastavano. In tanti casi erano inadeguate a esprimere dei concetti che gli erano molto chiari e che non accettava di edulcorare con giri di parole. Voleva formulare il pensiero da condividere con i fedeli nel modo più preciso e più rapido possibile.
Per farlo occorreva creatività: la creatività per inventare neologismi straordinariamente efficaci che sono una delle eredità da tenerci strette del suo pontificato. È stato così fin dai primi giorni, quando si è trattato di sciogliere il concetto contenuto nel suo motto: Miserando atque eligendo.
Nell’intervista rilasciata a padre Antonio Spadaro, allora direttore della Civiltà cattolica, aveva chiarito che il gerundio latino “miserando” non aveva un equivalente né in italiano, né in spagnolo, per cui aveva proposto di tradurlo con un neologismo, “misericordiando”. Un gerundio che secondo lui era necessario per descrivere quello sguardo del Signore nei suoi confronti, uno sguardo in azione: diffondendo misericordia e scegliendo.
Nella stessa intervista aveva licenziato un secondo neologismo non meno espressivo: “La preghiera è sempre per me una preghiera memoriosa, piena di memoria (anche quando per stanchezza capita di addormentarsi)”. “Memoriosa” in quanto impastata di una memoria che sopravanza le nostre poche forze: “Io posso dimenticarmi del Signore, ma so che lui non si dimentica mai di me. Ma soprattutto so che il Signore ha memoria di me”.
Forse il neologismo che meglio restituisce l’esperienza di fede di papa Francesco è però primerea. L’aveva lanciato in occasione della veglia con i movimenti il 18 maggio 2013, due mesi dopo la nomina: “Quando noi andiamo verso Dio, Lui ci sta già aspettando, è già lì. Userò un’espressione che usiamo in Argentina: il Signor ci primerea, ci anticipa, ci sta aspettando: pecchi e lui ti sta aspettando per perdonarti”. È sempre Dio a prendere l’iniziativa, ad arrivare prima, a “primerear”.
Jorge Milia, un ex alunno di Bergoglio, ha contato 17 neologismi coniati dal Papa, per lo più provenienti dal lunfardo (il gergo dei quartieri popolari di Buenos Aires molto usato nel tango) e vi ha anche dedicato altrettanti articoli pubblicati sul blog Terre d’America diretto da Alver Metalli. Quasi sempre sono verbi “generati” da sostantivi o aggettivi presenti nel vocabolario. Tipico l’esempio di “ningunear” ricavato da “ninguno”, nessuno: vuol dire non dare valore a qualcuno o non starlo a sentire, ignorarlo, fare come se non ci fosse, come se la sua opinione non avesse importanza. Di qui il richiamo: “Non lasciatevi ningunear come cristiani, date testimonianza”.
Analogo il neologismo creato partendo dal sostantivo “balcon”. L’aveva lanciato per la prima volta a Bozzolo, nel paese di don Primo Mazzolari, il 20 giugno 2017: parlando a braccio, aveva detto che la strada del “lasciar fare” – del “balconare la vita” – è quella “di chi sta alla finestra a guardare senza sporcarsi le mani”. Non c’era modo più sintetico ed efficace di restituire la lezione di don Mazzolari. “Balconear” la vita equivale al peccato del “doverfareismo”: “Ci intratteniamo vanitosi parlando a proposito di ‘quello che si dovrebbe fare’ – il doverfareismo – come maestri spirituali ed esperti di pastorale che danno istruzioni rimanendo a guardare e giudicare”.
Bergoglio a volte ha fatto leva sulla sua cultura popolare. Come il 20 settembre 2013, quando parlando ai ginecologi cattolici propose a sorpresa una straordinaria definizione caduta in disuso: “Un tempo, alle donne che aiutavano nel parto le chiamavamo comadre: è come una madre con l’altra, con la vera madre, no? Anche voi siete comadri e compadri: anche voi”. Una lezione di etica pratica in due sole parole…
Per Francesco l’affacciarsi di Dio nella realtà segue modalità che a volte non trovano un riscontro in parole adeguate. È un sommovimento che sommuovendo la vita finisce per forza con il sommuovere anche la lingua.
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