L'Istat ha diffuso ieri le previsioni sule forze lavoro al 2050. Diventa più chiaro come la demografia impatta sull'occupazione
Istat ha presentato le previsioni sulla popolazione, stimando l’impatto del calo demografico sul mercato del lavoro. La previsione arriva al 2050, che può sembrare un tempo lontano, ma si tratta di 25 anni, un periodo nel quale la gran parte dei lettori (se tutto va bene) sarà ancora viva, e quindi potrà verificare se le stime sono corrette, ma subirà anche le conseguenze che Istat prevede.
Ma cosa succederà? Il calo della fascia di età 15-64 anni è ormai inevitabile. La popolazione attiva è scesa dal 66,7% al 63,5% tra il 2004 e il 2024 e nel 2050 calerà al 54,3%. Si tratta di 9,1 punti percentuali in meno rispetto al 2024, con un decremento maggiore previsto per le donne.
La differenza in questa classe di età che vede più uomini che donne dipende da due fattori: il primo (poco noto) è che nascono più uomini (che però vivono meno a lungo); il secondo è che immigrano principalmente uomini in età da lavoro.
Quando calano le persone è naturale che cresca il tasso di attività e il tasso di occupazione (che sono numeri relativi). Anche se il primo è salito al 66,6%, l’Italia resta lontana dalla media europea (75%) e nel 2050 arriverebbe al 75%, con una crescita maggiore della componente femminile e lasciando indietro ancora il Sud. Complessivamente, quindi, la popolazione attiva calerà più della forza lavoro e dovrà aumentare l’occupazione tra i non anziani.

I giovani, nonostante siano destinati a essere di meno, non lavoreranno più di oggi. I tassi di partecipazione sono ridotti già all’8,6% per i maschi e al 4,2% per le femmine fino a 19 anni e sono previsti in calo, anche per via del prolungamento degli studi.
Naturale prevedere un impatto sul mercato del lavoro e sulla sostenibilità del sistema pensionistico. Mentre la Legge Fornero ha allungato i tempi di uscita dal mercato, le possibilità di uscita anticipata hanno tenuto l’età effettiva di pensionamento più bassa. In futuro è inevitabile che gli over 65 lavorino di più. I tassi di attività dei fascia fra i 65 e i 74 anni raggiungeranno il 24% (un anziano su quattro al lavoro!).
Insomma, un bel cambiamento per tutti, con una difficoltà oggettiva a tener in piedi un sistema pensionistico che potrebbe ritrovare un suo equilibrio naturale al di là della previsione al 2050.
Nel frattempo che si fa? Secondo la Ragioneria Generale dello Stato, il requisito anagrafico per l’accesso al pensionamento di vecchiaia salirà a 68 anni e 11 mesi nel 2050 per poi raggiungere i 70 anni nel 2067.
Le promesse politiche restano ancorate al tentativo di mandare tutti in pensione prima, cosa poco possibile e poco sostenibile. Sarà inevitabile ammettere l’impossibilità di continuare a derogare alla Legge Fornero con le varie quote e opzioni di uscita che massacrano gli importi percepiti dai pensionati e costano molto a chi paga i contributi.
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