Forte della vittoria sull'Iran, Netanyahu potrebbe accettare una tregua a Gaza e andare al voto per cambiare il governo
Dopo la tregua con l’Iran, anche quella con Gaza. Forte della sua vittoria contro l’Iran, Netanyahu ora potrebbe anche mollare gli ultranazionalisti religiosi che lo sostengono nel governo, accettare un cessate il fuoco, ripresentarsi alle elezioni e vincerle. Un recente sondaggio gli riconosce il 30% dei consensi.
La Striscia, spiega Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, potrebbe essere teatro della ricostruzione e tornare ad essere una “gabbia” per i palestinesi, come lo era prima, magari anche con il ritorno dell’ANP.
Il premier israeliano, per sistemare a modo suo la questione palestinese, potrebbe spingersi ad aprire una trattativa per la creazione dello Stato palestinese, anche se con l’intenzione non dichiarata di mantenere le cose come sono. La Palestina come Stato, in Israele, nessuno la vuole.
Finita la guerra in Iran, Netanyahu ha detto che spera in una tregua di due mesi a Gaza per liberare gli ostaggi e iniziare una trattativa che porti alla fine del conflitto. Ha cambiato idea sulla Striscia?
Netanyahu adesso è più forte. Negli ultimi sondaggi dell’Istituto di Studi per la Sicurezza Nazionale, il consenso verso le forze armate è all’85%, quello per il Mossad al 95% e quello del premier al 30%. È un dato che non deve sorprendere: con questa percentuale, in Israele, dove il sistema è proporzionale, può governare tranquillamente.
Le sue dichiarazioni nascono dalle pressioni degli americani per Gaza: questa volta, però, può anche permettersi di far cadere l’attuale governo di estrema destra, un’operazione conveniente per lui come immagine perché è alleato con degli estremisti razzisti.

Paradossalmente, la vittoria sull’Iran può portare ad un cambio di governo?
Netanyahu può benissimo farlo cadere, procedere con due mesi di tregua su Gaza, portare a casa gli ostaggi, poi andare alle elezioni e vincerle. I partiti che, prima della guerra, non avevano nessuna intenzione di fare un governo con l’attuale premier (parlo di Benny Gantz e anche di Yair Lapid), perché traditi dalle sue promesse, ora possono tornarci per non vedere Israele guidata dal più improponibile dei governi possibili.
Qual è a tuo avviso il dato fondamentale della politica in Israele oggi ?
Mi colpisce il fatto che, nonostante le manifestazioni contro la riforma della giustizia e per l’autonomia della magistratura, la guerra a Gaza, la vicenda degli ostaggi, l’opposizione sia senza una leadership forte.
Il piano di Israele per Gaza è sempre quello di espellere i palestinesi, come continuano a sostenere Ben-Gvir e Smotrich?
Netanyahu non è mai stato a favore della realizzazione di uno Stato palestinese: in 15 anni al governo ne ha parlato solo una volta. Ma non è un ideologo, è un opportunista, dipende da cosa gli conviene. D’altra parte, non ne parla neanche l’opposizione, e la maggioranza degli israeliani non lo vuole.
La tregua e la rinuncia a costruire le colonie nella Striscia, comunque, non significherebbero che nascerà lo Stato della Palestina. L’idea è quella di continuare a mantenere Gaza come una gabbia nella quale far restare i palestinesi. La pressione internazionale, dei Paesi arabi, dei sauditi, degli Emirati e degli egiziani forse potrebbe spingere Netanyahu a far tornare l’ANP a Gaza.
Nella sostanza, Netanyahu potrebbe volere un ritorno alla situazione precedente?
Sì, magari anche l’apertura di un percorso diplomatico che discuta come, dove e quando far nascere uno Stato palestinese. Come fece Shamir, che accettò di entrare in un processo di pace, aprendo una trattativa, ma solo per guadagnare tempo. Un percorso, insomma, che non verrà portato a termine.
Channel 12 ha rilanciato la notizia secondo cui Netanyahu sapeva che i soldi del Qatar per Gaza venivano usati in realtà da Mohammed Deif per Hamas, ma non è mai intervenuto perché aveva bisogno di un avversario come l’organizzazione palestinese per negare il dialogo ai palestinesi. Le sue ultime vittorie hanno fatto dimenticare tutto il resto?
Prima della guerra, quando a Gaza non c’erano più coloni o soldati israeliani, ma l’occupazione continuava sotto altre forme, Israele si rese conto che i palestinesi, chiusi in pratica dentro una gabbia, non potevano morire di fame. Il Qatar si prestò per fornire aiuti. Gli israeliani, maestri della bugia, hanno fatto credere che Doha fosse vicina ad Hamas. Ma non era così. I soldi dei qatarini dovevano servire a non far morire di fame la gente, ma se li prendeva Hamas per realizzare i tunnel e comprare al mercato nero.
In questi giorni di guerra con l’Iran, l’IDF ha continuato le sue operazioni a Gaza. Anzi, sono aumentate le persone uccise mentre cercavano di prendere cibo per la loro famiglia. È un dramma destinato a continuare?
In queste occasioni erano in diversi a sparare. Gli israeliani hanno permesso di agire anche alle bande che fanno capo alle grandi famiglie, alle tribù del posto. Questa è una regione tribale e anche dentro Gaza non ci sono solo Hamas e la Jihad, ma tantissimi piccoli gruppi che rappresentano una tribù, una famiglia potente, insomma delle “mafie”. Hamas non ha interesse a vederli in azione, ma ha interesse a vedere morire di fame la popolazione, perché propagandisticamente serve: la colpa viene data, come è giusto, agli israeliani, ma è anche di Hamas. Ci sono delle bande che vogliono prendersi i pacchi per poi rivenderli. Inoltre, gli stessi israeliani hanno armato una milizia di origine jihadista in funzione anti-Hamas. Gente che oggi è al soldo di Tel Aviv e domani può esserlo di qualcun altro.
La guerra con l’Iran, intanto, è definitivamente conclusa?
Adesso c’è la tregua ed è interesse di tutti mantenerla. Israele forse può ancora salvare la stagione estiva del turismo, un settore importante per tutta la regione. Il cessate il fuoco, però, va riempito di contenuti: si deve aprire la trattativa sul nucleare e sull’industria missilistica iraniana. Durante il conflitto, l’Iran è riuscito a far passare i suoi missili nonostante l’Iron Dome.
(Paolo Rossetti)
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