Ieri Eni ha presentato il nuovo piano industriale triennale che conferma il ruolo chiave dell'aziensa per il nostro sistema Paese
Eni ha presentato ieri il nuovo piano industriale 2025-2028 con cui sono stati aggiornati non solo gli obiettivi di crescita e di remunerazione degli azionisti, ma anche la strategia industriale. In questi mesi, anche sui mercati, ci si interroga su quale forma avrà la transizione energetica e quale sarà il mix di fonti chiamato a soddisfare una domanda di energia crescente.
Solo settimana scorsa Mario Draghi, in un discorso al Parlamento europeo, ha messo al centro la crisi energetica dell’Europa includendo tra le possibili soluzioni un ampio ventaglio di azioni che spaziano da contratti di fornitura a lungo termine di gas fino alle rinnovabili passando per fonti pulite in grado di garantire elettricità in qualsiasi condizioni atmosferica, con un riferimento chiaro, anche se implicito, al nucleare. In questo scenario Eni si muove verso una “nuova combinazione di fonti” che includono sia gli idrocarburi che la cattura di CO2, passando per biocarburanti e rinnovabili per arrivare anche al nucleare con gli investimenti in progetti di fusione.
Ieri Eni ha confermato il “modello satellitare” sia nel settore dell’esplorazione annunciando una nuova joint venture con Petronas in Indonesia e in Malesia, dopo le esperienze di successo di Var Energi, nel Mare del Nord, e di Azule, in Angola, e dopo i riscontri positivi avuti da operatori finanziari privati che hanno deciso di investire in Enilive, bioraffinazione, e in Plenitude, attiva nella generazione rinnovabile, nella vendita di elettricità e nella mobilità elettrica. È un modello che consente a Eni di valorizzare i mercati locali e i segmenti di mercato, condividendo gli investimenti, e di mantenere grande flessibilità in un mondo che richiede enormi investimenti.
In buona parte del globo si cerca di sostituire il carbone con il gas, i Paesi in via di sviluppo, per migliorare il benessere dei propri cittadini, chiedono un’offerta crescente di energia e nei Paesi sviluppati si deve far fronte alla nuova domanda derivante dai data center e all’esigenza dell’industria che chiede prezzi competitivi insieme alla decarbonizzazione.
Eni metterà in campo nei prossimi quattro anni investimenti netti per 27 miliardi di euro che garantiranno un aumento della produzione di idrocarburi del 2-3% all’anno fino al 2028; i piani di sviluppo riguardano sia il Mediterraneo, Libia e Cipro, che l’Africa fino al Mare del Nord e all’Indonesia. Non solo idrocarburi. Nei prossimi quattro anni il gruppo intende aumentare di più del doppio la capacità rinnovabile installata, da 4,1GW nel 2024 a 10GW nel 2028, e del doppio la capacità di bioraffinazione convertendo, anche in Italia, raffinerie tradizionali. Nel campo della chimica si scommette invece sulla biochimica e sulla circolarità.
Questo piano di investimenti e la crescita attesa permetteranno una remunerazione per gli azionisti fatta sia di dividendi, in crescita del 5% nel 2025, sia di riacquisto di azioni. La cifra che verrà restituita agli azionisti nei prossimi quattro anni, come somma di dividendi e riacquisto di azioni, è oltre il 45% della capitalizzazione di mercato. Questo avverrà senza pregiudicare la solidità patrimoniale dato che il livello di leva rimarrà vicino ai minimi degli ultimi due decenni.
Il piano di ieri conferma il ruolo chiave di Eni per il sistema Paese in uno scenario difficile da leggere sia per le sfide geopolitiche, pensiamo al conflitto con la Russia, sia per le sfide dalla transizione in cui si deve coniugare non solo la decarbonizzazione ma anche la sostenibilità economica e il soddisfacimento di una domanda di energia in crescita. È un percorso che si può affrontare senza pregiudicare il ritorno per gli azionisti.
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