Sembrerebbe un buon momento per Silvio Berlusconi, dalla Cassazione che smonta il teorema di Dell’Utri mafioso al processo Mills che va in prescrizione. Il racconto di ANTONIO FANNA

Sembrerebbe un buon momento per Silvio Berlusconi. La Cassazione che smonta il teorema di Dell’Utri mafioso e il processo Mills che va in prescrizione. Le Dandini e le Costamagna che sbattono il faccino ostinandosi a cavalcare l’antiberlusconismo in tv. Il governo tecnico che – dopo la battaglia allo spread – mostra tutta la sua debolezza quando deve affrontare qualche dossier squisitamente politico (dalla Rai ai rapporti diplomatici). Il Pdl che mostra qualche segnale di ripresa benché Alfano fatichi a esibire il «quid».



Eppure nel centrodestra il momento resta delicato. Il nodo giustizia, prima di tutto. È vero, Berlusconi ha buon gioco nel denunciare il linciaggio morale cui è stato sottoposto Marcello Dell’Utri e il doppiopesismo di gran parte della sinistra, che invitava a rispettare le sentenze quando erano di suo gradimento mentre ora contesta aspramente l’annullamento disposto dalla Cassazione per il senatore e la caduta in prescrizione del processo Mills. Tuttavia la repentina inversione di tendenza non è un buon segnale. C’è stato davvero un accanimento giudiziario contro il Cavaliere? Se sì, come mai viene a galla soltanto ora che egli ha fatto un passo indietro? Ed è frutto di un ravvedimento delle toghe, di un’autentica volontà di fare giustizia, o piuttosto di un preciso accordo politico, di un salvacondotto concordato ai massimi livelli istituzionali?



Questa seconda ipotesi è quella preferita, per esempio, dalla Lega di Umberto Bossi. E qui veniamo al secondo nodo. Quello che sembrava un asse di ferro tra Pdl e Carroccio ormai è ridotto in pezzi. «Berlusconi mi fa pena», ha detto ieri il Senatùr. Non naviga in acque tranquille nemmeno Bossi, con un’indagine per corruzione a carico di uno dei suoi uomini forti in Regione Lombardia. Certo, fra due mesi si vota per un certo numero di sindaci in varie parti d’Italia e ogni partito sceglie la propria strategia. Ma i toni scelti dalle camicie verdi non lasciano intravedere margini di riavvicinamento al Popolo delle libertà.
Non è un bel segnale per il centrodestra. Il rapporto preferenziale con la Lega è durato 10 anni, dal 2001 al 2011, rivelandosi la vera spina dorsale dei governi Berlusconi, più resistente delle alleanze (finite) con Casini e Fini. La parabola politica del Cavaliere ha questa costante: aver perso per strada, uno dopo l’altro, tutti gli alleati. Si tratta ora di capire dove andare e con chi fare il prossimo tratto di strada. Perché da solo Berlusconi non va da nessuna parte: non poteva permetterselo quando le urne nel 2008 regalarono al Pdl il 37,4% dei voti, tantomeno è in grado di farlo ora che i sondaggi lo collocano sotto il 25.



Non si intravede ancora una strategia per il centrodestra. Tagliati i ponti (almeno per il momento, perché in politica mai dire mai) con la Lega, le alternative sono prolungare la «grande coalizione» che sostiene il governo Monti oppure stringere con i centristi replicando il modello Ppe. Non sono chiare le intenzioni di Berlusconi, ma nemmeno quelle di Angelino Alfano. Che soffre sempre più l’ingombrante ma ineliminabile presenza dell’ex premier: ieri Berlusconi non si è fatto vedere alla chiusura della Scuola di formazione politica di Orvieto per non fare ombra al delfino. Schermaglie, gelosie personali.
Finché i partiti – tutti – navigheranno in queste incertezze, il futuro del governo Monti è assicurato.