Milano ha una tradizione riformista socialista incarnata dai sindaci Tognoli e Pillitteri e che risale a Kuliscioff e Turati. Il Pd l'ha dimenticata

C’è una targa sotto i portici di piazza Duomo, al numero 23: “Qui vissero Filippo Turati e Anna Kuliscioff”. Con una frase, che ricorda il loro “forte impegno per il socialismo”. Entrambi, per molto tempo, sono apparsi come due sconfitti della storia. Ma per i riformisti veri (non i sedicenti di tutti i tipi di questi anni), quelli che lo statuto del Comintern sovietico (articolo 21) definiva socialfascisti, Turati e la Kuliscioff erano e restano il riferimento politico, ideale, umano del socialismo italiano, collegato inoltre alla grande socialdemocrazia europea, che aveva rotto qualsiasi riferimento con l’anarchia e il bolscevismo.



Ma in loro c’era qualche cosa in più: la loro storia politica, umana, si intreccia soprattutto con Milano, con la cultura di Milano, con la grande svolta liberale e riformista di fine Ottocento dopo i tentativi autoritari di Francesco Crispi, la ventata reazionaria e il rombo dei cannoni del generale Fiorenzo Bava Beccaris nel maggio del 1898 proprio a Milano: 80 morti e 450 feriti.



Milano è sempre stata una grande città, amatissima persino da Giulio Cesare, e con periodi di splendore politico, economico e artistico da meritarsi a fine Quattrocento il titolo di “Nuova Atene”.

Ma le epoche storiche riservano sempre sorprese e anche danni drammatici. Ci fu la caduta del Seicento e si dovette aspettare il Settecento per la rinascita, con uomini come Cesare Beccaria e i fratelli Verri. Milano ebbe ancora periodi sfortunati, ma mantenne sempre la sua “cultura del fare” e dell’innovare.

Se si pensa all’Illuminismo lombardo, alla svolta liberale di Giolitti, al riformismo, alla grande partecipazione anche politica dei cattolici milanesi e lombardi, si resta sconcertati dall’avvento del fascismo che Milano con tutta l’Italia dovette subire.



Oggi Milano, dalla caduta della cosiddetta “prima repubblica”, vive un altro momento di grande incertezza. Se si percorre tutta la galleria, dopo aver visto la targa che ricorda Turati e la Kuliscioff, si esce in piazza della Scala, dove c’è Palazzo Marino e un sindaco e una giunta coinvolti in una inchiesta che dà la misura di una certa Milano che vuole cancellare definitivamente la sua tradizione riformista.

In genere, si pensa che l’ultimo sindaco di tradizione riformista fu Giampiero Borghini, il successore di Paolo Pillitteri. Restò a Palazzo Marino solamente per 14 mesi. La Procura di Milano imperversava con Tangentopoli e tutto il sistema politico fu travolto, con l’accusa principale rivolta proprio ai riformisti, a Bettino Craxi in particolare.

Forse si dovrebbe ricostruire dettagliatamente quella storia che ha sconvolto non solo Milano ma l’Italia intera e, di fatto, ha cancellato i partiti democratici e di conseguenza l’intera politica. Si potrebbe anche guardare l’operato dei sindaci che seguirono il breve mandato di Borghini: il leghista Formentini, poi Albertini, quindi Letizia Moratti, poi Giuliano Pisapia e infine quello che sta diventando il più noto: Giuseppe Sala.

Ai tempi di Tangentopoli si parlava di tangenti e di violazione sistematica del finanziamento pubblico alla politica. Qualche dubbio sull’ampiezza dei reati, che riguardava probabilmente tutta la politica, venne liquidato tra l’entusiasmo di alcuni “partiti superstiti” (sarebbe interessante sapere il perché), ma soprattutto con l’entusiasmo di chi esaltava l’operato della magistratura e il populismo dilagante di diversi giornali, tra i quali alcuni imprenditori-editori notissimi, in contrasto con i governi della prima repubblica. C’era un passaggio di carte tra magistrati e giornalisti che si poteva definire scandaloso.

Ora con questa nuova inchiesta è diventato ancora più profondo il problema che emerse nel giro di pochi anni. L’entusiasmo iniziale cominciò a scemare tra i cittadini, mentre la politica si ritirò non solo davanti alla magistratura, ma anche di fronte alle esigenze spregiudicate della finanza e di un capitalismo che alcuni definiscono neocapitalismo, mentre un ex vicesindaco di Milano, che faceva parte del PCI, definisce “capitalismo predatorio”.

Certo che uno scandalo urbanistico come quello che ha investito la Giunta Sala, con 76 indagati tra cui il sindaco e la richiesta di sei arresti, rivela che, se si guarda caso per caso, è l’esito di un disinvolto turbo-liberismo, che paradossalmente viene professato da un’amministrazione che si definisce di centrosinistra.

È auspicabile che presto si chiarisca tutto, ma la gestione attuale dei fondi della finanza che sostituisce l’azione delle vecchie giunte milanesi lascia veramente tanto perplessi da evitare una corsa al seggio elettorale per votare, come si può vedere elezione dopo elezione sia a Milano che in tutta Italia.

Ci sia permesso dire che i sindaci socialisti del dopoguerra come Antonio Greppi, Virgilio Ferrari, Carlo Tognoli, Paolo Pillitteri avevano un’idea differente dello sviluppo della città. Nel 1960 l’autonomista socialista Guido Mazzali discusse a lungo con gli uomini della Dc, persino con l’allora arcivescovo Montini, il futuro Paolo VI, e fu fissata la pianificazione del territorio comunale. Furono definite le norme e le regole per l’uso del suolo, regolamentando attività, destinazioni di uso e interventi edilizi. La città doveva essere una comunità, dove tutti dovevano vivere cercando di migliorare continuamente la loro condizione in modo equo e coeso.

È questa la condizione di Milano oggi? L’impressione è che ci sia un centro-vetrina per pochi facoltosi e la maggioranza delle periferie dimenticate. La soluzione non può essere quella di “nuove costruzioni” passate per “ristrutturazioni” grazie all’accomodante Scia, la certificazione edilizia che furoreggia a Milano.

Se ci si deve aggrappare a una speranza per una autentica rinascita di Milano vengono in mente, come per le epoche italiane, le rinascite del riformismo socialista che si voleva seppellire.

Quando venne eletto Carlo Tognoli sindaco, nacque una terza tappa del riformismo, un terzo capitolo. Ha commentato Ugo Finetti: “Il terzo capitolo è quello del riformismo che matura a Milano con Craxi di fronte al dissolvimento nel Psi nazionale della dirigenza che aveva guidato la svolta autonomista. È da Milano che il socialismo riformista in Italia manda in soffitta Marx, si libera della lettura classista della storia e punta alla crescita di una forza socialista come parte integrante del socialismo europeo e occidentale”. E cerca un compromesso, una politica di compromesso virtuoso tra un mercato regolato e i principi del socialismo.

Chissà se davanti ai tanti disastri avvenuti in questi ultimi anni potrà realizzarsi o almeno si potrà creare un’altra alternativa di questo tipo. Forse basterebbe ristudiare il pensiero di Turati e della Kuliscioff e varare un quarto capitolo del riformismo di fronte ai problemi di una società profondamente cambiata.

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