INFLAZIONE & MATERIE PRIME/ Green e guerre commerciali ci regalano la nuova crisi

- Stefano Cingolani

La transizione energetica e la guerra commerciale tra Usa e Cina aggravano la fiammata inflazionistica e il rincaro della materie prime

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Stagflazione, cioè stagnazione economica più inflazione: s’aggira per il mondo uno spettro nuovo e antico allo stesso tempo, e c’è chi evoca gli anni Settanta del secolo scorso. Mario Draghi e Daniele Franco hanno lanciato un messaggio di vigile ottimismo. La pandemia sta per essere vinta, dice il capo del Governo; la ripresa continua e il rimbalzo di quest’anno durerà fino al 2023, non così forte, ma comunque tale da triplicare e poi raddoppiare il tasso di crescita medio dell’ultimo ventennio. Una previsione che rischia di diventare una speranza. 

Sia Draghi CHE Franco sono preoccupati da quel che accade all’estero più dei mal di pancia interni all’Italia e alla maggioranza politica. Non c’è solo l’impennata del gas, c’è che cominciano a mancare le materie prime strategiche: il silicio fondamentale per i microprocessori (la carenza di chip sta facendo chiudere le fabbriche automobilistiche in tutto il mondo), il litio essenziale per le batterie e via dicendo. La pressione da costi innalza i prezzi alimentati dall’abbondanza di moneta stampata dalle banche centrali e dai governi. Tassi d’interesse ai minimi o anche sotto zero come nell’area euro, acquisti di titoli pubblici e privati, debiti di stato, tutto questo finirà, si deve tornare alla normalità, gridano i falchi. Già ma cosa succede al resto dell’economia, alla domanda, alla produzione, ai consumi? Dovremmo dire addio alla ripresa prima ancora di averne raccolto i frutti aumentando i posti di lavoro? Si cammina dunque su un filo sottile, mentre alcuni parlano già di “economia della scarsità”. È proprio questo il titolo di copertina dell’Economist. Che cosa sta succedendo, insomma?

Non c’è un’unica spiegazione, piuttosto una convergenza di fattori diversi, un insieme di cause congiunturali e strutturali. La prima ragione, secondo l’Economist, riguarda il rimbalzo dopo la pandemia. Il Covid-19 ha fatto crollare sia la domanda che l’offerta, così tutti i Paesi sono corsi ai ripari, si sono indebitati e hanno gettato moneta dagli elicotteri (secondo la nota metafora di Milton Friedman). Nelle aree più ricche del pianeta, la domanda è così forte che l’offerta non riesce a tenerle dietro. Dunque è una crisi passeggera? Se è così, passeggera sarà anche l’inflazione: quando la febbre congiunturale s’abbassa scendono anche loro.

Ma attenti, sono all’opera due forze più profonde. La prima è la transizione energetica. Lo spostamento dal carbone alle energie rinnovabili è stato così repentino da provocare un balzo nella domanda di gas alla quale i Paesi produttori non sono stati in grado di rispondere, così i prezzi sono balzati in alto trascinando materie prime e beni di consumo. L’intervento di Putin potrà migliorare un po’ la situazione in Germania, il Paese che ancora usa molto carbone per le centrali, ma difficilmente potrà invertire la tendenza. 

La seconda forza è il protezionismo. Non è cominciato con Trump anche se The Donald ha dato la spinta più brusca, e non finisce con lui. Joe Biden ha confermato che manterrà le tariffe contro i prodotti cinesi. Un brutto colpo su un’economia che sta rallentando più di quanto ci si attendesse. È stata una svolta repentina, fotografata dall’andamento delle borse. Da gennaio a maggio hanno fatto un balzo in alto, spinte dall’ottimismo per la fine della pandemia e la ripresa della domanda internazionale; da giugno a oggi sono scese velocemente e registrano un segno negativo, con Hong Kong peggiore di Shanghai. Non sappiamo come stanno andando per davvero le cose nell’Impero di Mezzo, ma i segnali non sono certo buoni. 

La catena produttiva che dalla Cina s’estende in tutto il mondo s’è spezzata. Non sarà facile aggiustarla anche perché è in atto un ripensamento sui limiti e le debolezze della globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta. Ci stiamo avviando verso un nuovo modo di concepire e organizzare il mercato mondiale, ma è troppo presto per sapere come. Al di là di una generale tendenza a portare la produzione più vicina al consumo, vediamo che tra globale e locale si forma un legame sempre più stretto. Tuttavia, stiamo entrando in una terra incognita. Non si torna agli anni ’70, però nessuno può immaginare magnifiche sorti e progressive.

Le incertezze create dal protezionismo, dalle tensioni internazionali (la nuova Guerra fredda) e dalle difficoltà produttive della Cina potrebbero anche ostacolare l’uscita dalla pandemia. In Veneto ci sono imprenditori preoccupati perché non si riesce a garantire tamponi ogni 48 ore ai non vaccinati. Si tratta di una cospicua minoranza (590 mila) si può dire che è colpa di chi tra loro non vuole vaccinarsi, ma in ogni caso i colli di bottiglia anche piccoli possono creare grandi guai, soprattutto se il motore della “macchina mondiale” va in panne.

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