L’intelligenza artificiale di OpenAI è stata allenata con l’utilizzo di articoli presenti online, ma senza l’autorizzazione dei media che li avevano pubblicati. È per questo motivo che gli editori negli Stati Uniti si stanno ribellando, chiedendo che l’azienda creatrice di ChatGPT paghi per la violazione di copyright. Il New York Times, a tal proposito, ha già avviato un’azione legale. Gli altri giornali, invece, aspettano di capire come la situazione si evolverà.
OpenAI infatti vorrebbe negoziare un accordo tale per cui gli articoli possano essere utilizzati sulla base di un compenso, che secondo le indiscrezioni riportate da The Information sarebbe pari a una cifra tra 1 e 5 milioni di dollari all’anno. Una somma che però i media ritengono sia eccessivamente bassa, anche per i piccoli gruppi dell’editoria. “Siamo nel pieno delle trattative. Gli scambi sono molto positivi e stanno procedendo bene”, ha tuttavia assicurato Tom Robin, responsabile dei contenuti e della proprietà intellettuale del campione californiano di intelligenza artificiale, a Bloomberg.
Intelligenza artificiale allenata con articoli, è battaglia tra OpenAI e media: cosa rischia
Il caso del New York Times contro OpenAI sarà dunque pioniere per il futuro dell’intelligenza artificiale. Il colosso dell’editoria infatti stima i danni in diversi miliardi di dollari e non ha mai preso sul serio le proposte economiche della controparte per un accordo di licenza, ritenendole inaccettabile. È anche in virtù di ciò che chiede la distruzione dei modelli di intelligenza artificiale costruiti a partire dai suoi articoli in passato. La questione dunque finirà inevitabilmente in Tribunale e il rischio è quello di una class action: se gli altri media americani non saranno soddisfatti dall’offerta dell’azienda californiana, gli faranno anche loro causa.
OpenAI in tal senso sta già pensando a come impostare la strategia difensiva. “L’utilizzo in questione degli articoli di stampa non è paragonabile a ciò che i media conoscono attraverso i motori di ricerca e i social network. Qui non riproduciamo il contenuto, bensì lo usiamo per addestrare un modello”, ha affermato Tom Robin. È da capire se questa versione sarà accettata o meno dai giudici. È un campo infatti totalmente nuovo per la legge.