Iniziata l’operazione militare di Israele a Gaza. L’IDF vuole costringere Hamas a una tregua a condizioni sfavorevoli. Lo scenario
Hamas accetta l’ultima proposta di tregua, Israele non dice no ma intanto inizia l’invasione di Gaza, invitando per l’ennesima volta la popolazione a evacuare l’area di intervento militare. Quello che interessa a Netanyahu e al suo governo – dice Marco Di Liddo, direttore del CeSI, Centro Studi Internazionali – alla fine è eliminare Hamas e occupare la Striscia e, in un secondo momento, anche la Cisgiordania: gli israeliani non vogliono abbandonare proprio ora una guerra così lunga senza aver raggiunto l’obiettivo principale.
Israele ha avviato l’occupazione di Gaza, sostenendo di controllare già le periferie: è una pietra tombale sulle trattative per la tregua?
Dal punto di vista palestinese, della comunità internazionale e, in generale, del buon senso politico, sì. Dal punto di vista israeliano, no: è un modo per aumentare la pressione e spingere Hamas a condizioni di tregua più sfavorevoli.
Netanyahu, tuttavia, ha dichiarato che Israele conquisterà comunque Gaza, indipendentemente dal fatto che Hamas accetti o meno l’accordo sugli ostaggi. Una dichiarazione che fa parte della strategia israeliana?
Occorre considerare che ci si muove su due livelli: il primo è quello di costringere l’avversario a stringere un accordo sempre più sfavorevole, uno stratagemma che abbiamo visto applicato anche nella gestione della guerra tra Russia e Ucraina. Il secondo è che, dal punto di vista israeliano, anche il raggiungimento di un accordo sul rilascio degli ostaggi va considerato un passaggio intermedio: l’obiettivo dichiarato è eliminare la minaccia di Hamas, oltre che estendere il controllo di Israele sulla Striscia e poi sulla Cisgiordania, per fare il Grande Israele.
Perché Hamas ha detto sì alla proposta di tregua?
Un po’ per prendere tempo, perché la pressione è diventata veramente pesante da sopportare. Arriva da due direzioni: una è quella esterna, ed è esercitata dall’operazione militare israeliana; l’altra, interna, perché una larga parte del popolo palestinese, anche se non ha canali pubblici per esprimere il proprio dissenso, è critica nei confronti di Hamas. Non sottovalutiamo la pressione della popolazione gazawi che, al di là delle colpe che attribuisce a Israele, chiede comunque all’organizzazione palestinese di fermare la guerra. Hamas, presa tra due fuochi, si trova a dover gestire al meglio delle sue capacità il negoziato.
I negoziati non sono andati a buon fine perché Hamas vuole la fine della guerra e Israele no. Per arrivare al cessate il fuoco qualcuno dovrà cedere su questo?
L’errore che noi facciamo è quello di considerare Hamas e Israele sullo stesso piano. Nella prospettiva occidentale pesa molto di più il destino della popolazione di Gaza, per questo rimaniamo esterrefatti rispetto all’abuso della forza da parte degli israeliani. Per Israele, invece, viene prima la distruzione di Hamas, a qualsiasi costo. La nostra priorità è salvare la vita dei palestinesi, ma per gli israeliani vengono dopo Hamas. Trattano Gaza come una casa infestata dai topi e vogliono eliminarli: un’immagine brutale, ma che rende il loro modo di pensare.
Cosa ci dobbiamo aspettare: gli israeliani continueranno comunque in questa operazione? Smetteranno se Hamas accetterà una tregua alle loro condizioni?
Continueranno. Potrebbero smettere momentaneamente: si parla di tregua, non di pace. Basterà l’iniziativa di qualche fazione di Hamas per riprendere come prima. Gli israeliani stanno combattendo da quasi due anni: non ci avevano abituato a guerre così lunghe e dispendiose. È una situazione che vogliono risolvere e succederà solo quando avranno sotto controllo la Striscia e la Cisgiordania. Risolto il problema di Gaza, potrebbero riposare qualche settimana o qualche mese; poi succederà che i coloni si muoveranno nella West Bank e riprenderà un’operazione militare identica anche lì, con la scusa di far fuori gli elementi terroristici dei campi profughi.
Quindi Israele occuperà la Striscia. E poi cosa succederà?
Hanno detto che ci vorranno due mesi, ma poi diranno che l’operazione va prolungata, che c’è bisogno di più tempo. Mi fa paura pensare come gestiranno questi territori: per coloro che resteranno, vedo la creazione di un sistema totalmente segregante. L’alternativa sarà tra una vita di subordinazione, di inferiorità rispetto agli israeliani, e la migrazione in qualche altro Paese.
(Paolo Rossetti)
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