La strategia di Trump di privare l'Iran dell'arma nucleare è chiara, nondimeno le variabili sono molte e dopo l'attacco Usa sono aumentate -

L’attacco statunitense alle basi del programma nucleare iraniano segna un cambio di passo nella tattica di Washington nel conflitto israelo-iraniano. Siamo passati, infatti, dal sostegno alla difesa israeliana e alla de-escalation regionale all’adesione come co-belligerante a operazioni offensive, con buona pace dei trattati internazionali.



I raid aerei sono stati ordinati nonostante le minacce tuonate da leader iraniani sui rischi di un’entrata in guerra, inclusi potenziali attacchi alle forze e agli interessi statunitensi.

Mentre scriviamo, a dare corpo alle minacce e a giustificare gli incubi che agitano molte menti, Sky News batte la notizia che le basi americane in Qatar, Siria e Iraq sono sotto attacco iraniano. In tutto questo, in un recente discorso, Donald Trump ha ribadito – ma a questo punto lo possiamo ritenere un eufemismo – il suo desiderio di pace e di porre fine alla guerra.



Guerra Iran-Israele, sistema Iron Dome in azione a Tel Aviv (ANSA-EPA 2025)

Per analizzare i fatti, il modo migliore per cercare di individuare gli obiettivi di Donald Trump nel contesto della guerra tra Israele e Iran, iniziata il 13 giugno scorso, è basarsi sulle dichiarazioni e sui fatti che si susseguono.

In particolare, vorremmo focalizzare l’analisi sull’obiettivo di fermare il programma nucleare iraniano, o quantomeno riportarlo, secondo gli USA, in un alveo di sicurezza. Il tutto indebolendo strategicamente il regime islamico, senza farlo cadere. Un obiettivo non facile, vista la struttura dello Stato islamico, che, come tutte le autarchie, poggia molto del suo potere sulla retorica della forza.



Il 22 giugno scorso, dicevamo, Trump ha ordinato attacchi aerei su tre siti nucleari iraniani (Fordow, Natanz e Isfahan), dichiarando che “l’Iran non può avere un’arma nucleare, perché il mondo intero esploderebbe”.

Successivamente, ha dato all’Iran un ultimatum di due settimane per negoziare un accordo che escluda l’arricchimento dell’uranio, minacciando ulteriori attacchi in caso di mancata cooperazione. Gli USA hanno da sempre perseguito l’obiettivo di un Iran senza arma nucleare.

E, anche se l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) e la direttrice dell’intelligence USA, Tulsi Gabbard, hanno affermato che l’Iran non sta sviluppando un’arma nucleare attiva, ha ordinato di colpire i siti nucleari. Secondo diversi analisti, lo ha fatto a seguito delle pressioni israeliane.

A riguardo dei risultati, la distruzione parziale di Natanz e i danni limitati a Fordow suggeriscono che l’obiettivo di eliminare completamente la capacità nucleare iraniana potrebbe non essere stato raggiunto. Anzi, riguardo a Fordow, fonti israeliane, nei giorni precedenti, vista la profondità del sito, avevano pronosticato un attacco di terra per l’inutilità di un bombardamento.

Inoltre l’attacco spingerà sicuramente, per gli stessi motivi, l’Iran ad accelerare in segreto il suo programma nucleare, magari con le autocrazie russa e cinese a fingere di sostenerlo, cercando di impegnare gli USA senza concedere l’atomica a Teheran.

Dal canto suo, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha escluso trattative sotto minaccia. Gli attacchi USA hanno ridotto la fiducia dell’Iran nei negoziati.

Va aggiunto che l’Iran ha minacciato di ritirarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), segnalando una possibile escalation del programma nucleare piuttosto che un ritorno al tavolo dei negoziati. Questo opacizza e degrada il piano diplomatico di Trump e tutta la sua strategia, aumentando il rischio di un’escalation con la destabilizzazione regionale.

Riusciranno gli USA a imporre ancora la loro legge o sarà un altro Vietnam, un altro Iraq, un altro Afghanistan? Cosa significa questo per la politica statunitense in Medio Oriente, specialmente se Washington vorrà ancora sostenere il principio secondo cui l’Iran non potrà mai possedere un’arma nucleare? Quali sono le prospettive di ripresa dei colloqui dopo l’attacco statunitense e quello in corso ora? Ma dopo tutte queste domande dobbiamo anche chiederci: cosa farà ora la Cina con Taiwan?

Sarà una vittoria delle autocrazie nel dimostrare la decadenza delle democrazie? Nell’interesse del mondo libero a cui apparteniamo, auguriamoci di non avere abbastanza informazioni per giudicare correttamente i fatti.

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