Ieri Netanyahu ha incontrato Rubio per avere il disco verde all’annessione della Cisgiordania. Oggi nuovo incontro a Doha
Guerra in Medio oriente, giorno 710. Oggi a Doha si radunano i leader dei Paesi islamici e arabi, per discutere la situazione dell’intero quadrante dopo il raid israeliano in Qatar e soprattutto per inviare un messaggio agli Stati Uniti, chiedendo protezione da Israele. Un summit che partorirà al massimo una risoluzione di condanna e di sostegno all’emiro qatariota, malgrado sul tavolo vi sia anche una proposta egiziana per la creazione utopistica di una forza militare araba congiunta, proposta destinata a non essere nemmeno presa in considerazione.
Proprio l’Egitto, che finora non ha inviato un nuovo ambasciatore in Israele e che si è rifiutato di accettare le credenziali dell’ambasciatore israeliano Uri Rothman, ha proclamato che “un attacco israeliano sul suolo egiziano avrà gravi conseguenze”, ma non ha accennato ad interrompere le relazioni con Israele o a revocare gli accordi di Camp David.
In realtà – come sostiene l’analista Zvi Bar’el –, il coordinamento militare tra Egitto e Israele continua, e l’Egitto ha annunciato pubblicamente che continuerà ad agire come mediatore in qualsiasi accordo sugli ostaggi. Ciò non significa che l’Egitto non sia preoccupato per l’emanazione della minaccia di Israele di aprire il valico di Rafah per consentire a centinaia di migliaia di abitanti di Gaza di trasferirsi nel Sinai, o per un’operazione militare volta ad assassinare alti funzionari di Hamas che vivono in Egitto.
Al summit odierno gli Stati del Golfo dovrebbero ribadire di volere continuare gli sforzi diplomatici nei confronti del presidente Trump, ritenuto l’unica leva efficace che potrebbe porre fine alla guerra e bloccare la conquista di Gaza City. Ma l’attacco di Israele in Qatar ha rimesso in forse anche la postura più moderata.
Restano comunque abbastanza evidenti i tipici stridori mediorientali che emergono in Qatar, un Paese con tanti abitanti quanto Roma, ma con 220 miliardi di dollari di Pil: come conciliare l’ospitalità dei vertici di Hamas in ‘esilio’, comodamente alloggiati in hotel di lusso; del più strutturato conglomerato mediatico arabo, Al Jazeera; e della più importante base USA nell’intero settore, Al Udeid, a sudovest di Doha, con oltre 15mila soldati, 100 aerei, sede dell’US Combined Air Operations Center, responsabile del coordinamento della forza aerea alleata in Medio Oriente, in particolare per le operazioni negli spazi aerei in Iraq, Siria e Afghanistan?
Un equilibrismo che non ha comunque scoraggiato Tel Aviv nel suo proposito di eliminare i vertici di Hamas, radunati in un edificio nella capitale, con un raid però dai risultati ancora oggi incerti.
Così come l’altro strike, portato a segno, un paio di giorni dopo, in un’altra capitale, Sana’a, nello Yemen, contro i vertici o comunque i quadri degli Houthi. Ma Tel Aviv non si ferma qui: l’impegno bellico di Netanyahu prosegue a 360 gradi in tutti i fronti aperti. Le forze IDF l’altro giorno hanno fatto irruzione in diversi villaggi nel Governatorato di Daraa, in Siria, nella regione sud-occidentale del Paese: almeno 18 veicoli militari hanno condotto perquisizioni in due villaggi, alla ricerca di armi.
A Gaza City, secondo l’IDF, oltre 250mila residenti sono fuggiti dalla città per trasferirsi nei campi profughi centrali, non solo nell’area di Muwasai. Haaretz ha riferito questa settimana che il principale consulente legale dell’IDF ha avvertito il capo dell’esercito che la legalità dell’evacuazione è incerta, citando condizioni umanitarie insufficienti nelle zone designate, che ha ignorato. L’esercito israeliano avrebbe raddoppiato l’area designata per i civili in tutta la Striscia.
Un’analisi condotta dal professor Yaakov Jerome Garb della Ben-Gurion University – riferisce ancora Haaretz – ha rilevato che l’area in cui i civili possono soggiornare è aumentata da 43 chilometri quadrati a 78 chilometri quadrati, il 21% dell’intera area della Striscia di Gaza. Le nuove aree includono Nuseirat, Bureij, Zawaida e Deir al-Balah, così come diversi quartieri nel Khan Yunis del sud di Gaza, ossia la maggior parte del territorio tra la zona umanitaria annunciata la scorsa settimana e il corridoio Netzarim, il confine meridionale di Gaza City.
Intanto l’IDF non rallenta: ha colpito il terzo grattacielo di Gaza City, una ex città che sembra sempre più il set di un film apocalittico, dove spunta tra le macerie qualche scheletro di edifici dove si dice si nascondano ancora trappole esplosive e terroristi superstiti.
Ieri il segretario di Stato Usa Marco Rubio è arrivato in Israele, dove è previsto l’incontro con il premier Benjamin Netanyahu davanti al Muro del pianto di Gerusalemme. Si dice che i due affronteranno la possibilità di un’annessione israeliana di parti della Cisgiordania occupata, in risposta all’annunciato riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di numerosi Paesi occidentali entro la fine del mese, all’assemblea generale dell’Onu. Un riconoscimento che è arrivato probabilmente fuori tempo massimo, visto che tra non molto di Stati palestinesi non ne resterà più traccia.
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