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Home » Lavoro » ITALIANI TORNANO A LAVORARE NEI CAMPI/ La risposta alla crisi da aiutare senza slogan

  • Lavoro

ITALIANI TORNANO A LAVORARE NEI CAMPI/ La risposta alla crisi da aiutare senza slogan

Angelo Colombini
Pubblicato 14 Maggio 2020
Arriva 'Titan', il robot agricoltore

(Pixabay)

Si parla di circa 20.000 italiani che, come risposta alla crisi, si sono offerti di lavorare in agricoltura. Un fatto che deve far riflettere

In questo periodo di emergenza, più volte ci è capitato di sottolineare quanto è importante la centralità del lavoro nella vita di una persona, ma anche quanto sia urgente rivalutare economicamente e socialmente lavori che generalmente vengono considerati umili. Negli ultimi tempi, se da un lato è esplosa la polemica sulla necessaria regolarizzazione dei lavoratori stranieri, non semplicemente extracomunitari, in agricoltura, dall’altro vi è stato un forte attivismo delle associazioni datoriali di questo settore merceologico che hanno lanciato piattaforme per la ricerca di lavoratori per sostituire coloro che a causa del Covid-19 quest’anno non sono potuti arrivare nei campi.


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La risposta da parte di persone che sono alla ricerca di lavoro o di un nuovo lavoro sembra sia positiva, almeno stando ad alcuni articoli di giornali e ai commenti delle associazioni agricole, smentendo così le solite illazioni che gli italiani non vogliono lavorare nei campi. In realtà, negli ultimi anni più volte si è parlato di un ritorno all’agricoltura da parte dei giovani, ma ora siamo in un momento particolare e la riscoperta del settore è legata anche al bisogno di trovare una nuova occupazione passando da settori produttivi che rischiano di rimanere fermi o di ripartire molto lentamente, all’agricoltura che non si è mai fermata e non può fermarsi.


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Al di là di quello che potrebbe essere un fenomeno legato alla situazione contingente e di necessità, non possiamo accettare che si usi la crisi attuale per precarizzare un lavoro che per sua natura è in buona parte stagionale. Il lavoro agricolo dovrebbe essere gestito con pragmatismo valutandone i suoi molteplici aspetti. Dovrebbe farci sorgere alcuni dubbi il fatto che questo lavoro non è mai stato considerato attraente.

Il caporalato è un fenomeno molto esteso, variamente documentato che non colpisce solo i lavoratori agricoli stranieri e aumenta i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. L’innovazione tecnologica, purtroppo ancor limitata o poco intellegibile ai più, potrebbe rilanciare tutta la filiera, garantire più sicurezza per i lavoratori e “ridurre” la fatica del lavoro nei campi, aumentandone l’appetibilità.


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La piccola dimensione delle imprese agricole, spesso a conduzione familiare, da sempre rende complicata la gestione dei lavoratori nel settore, per di più collegata alla stagionalità delle lavorazioni. Non si tratta di favorire ulteriore flessibilità come con i voucher, che in agricoltura esistono ancora per studenti, pensionati e disoccupati, ma si sono dimostrati fallimentari e servono solo a far saltare le tutele su previdenza, maternità e malattia, non certo per far emergere il lavoro nero.

Bastano questi esempi per giustificare lo scarso “appeal” che può avere il settore nei riguardi di qualsiasi persona in cerca di lavoro. Le piattaforme informatiche probabilmente sono ritenute trasparenti e danno le necessarie garanzie per le persone alla ricerca di lavoro e nonostante ciò che si possa pensare su queste forme di intermediazione anche questo è un tema da approfondire.


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Occorrerebbe quindi che queste e altre piattaforme potessero dialogare con la piattaforma My Anpal, valorizzando nel contempo gli enti bilaterali, che in ogni territorio possono contribuire a una migliore gestione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Visto che in agricoltura vi è da sempre una contrattazione garante della massima flessibilità, oggi persino del lavoro a chiamata giornaliera. Senza dimenticare che si possono favorire anche convenzioni con agenzie interinali per il reperimento di manodopera stagionale nel rispetto del contratto e delle leggi.

Tuttavia a questi temi va aggiunta l’assenza di un vero orientamento verso il lavoro in generale per tutte le fasce di età. Pragmaticamente, come dicevamo prima, è il caso di avviare un ampio progetto che accompagni e orienti i lavoratori a una possibile transizione da settori che subiranno maggiormente la crisi da Covid-19 a settori, come l’agricoltura, che sono meno esposti. Questo dovrebbe valere anche per altri impieghi, a cominciare dalla sanità e dal welfare, di cui si sbandiera la grande necessità di un rafforzamento.


INCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.


Va definito quindi un grande programma che metta insieme orientamento, formazione e accompagnamento per nuovi lavoratori e per coloro che debbono transitare da un settore all’altro nel nostro mercato del lavoro. Ci vuole un approccio di prospettiva, non emergenziale, perché se vogliamo spingere il Paese verso un nuovo modello sostenibile di sviluppo va da sé che a cominciare dalle persone, dai lavoratori, c’è bisogno di guidare e orientare la trasformazione. In tal senso il possibile utilizzo di periodi di ammortizzatori sociali potrebbe essere un punto di forza, accompagnato da un orientamento e da una formazione continua per tutte le fasce di età.


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