Non tragga in inganno la peraltro bellissima copertina e anche il retro, due dipinti della moglie Paola del cantautore che ritraggono scalcinati motel sulla Route 66, l’arteria stradale, ma anche emozionale, di una America che non esiste più, simbolo di una Terra Promessa e delle sue pulsazioni rock. L’ottavo disco in studio di John Strada, Fra rovi & rose, lo porta, dopo aver approfondito l’approccio del cosiddetto “blue colla rock”, il rock della classe operaia che ha in Bruce Springsteen il cantore per eccellenza, a un approccio cantautorale tipicamente italiano, anche se non mancano i riferimenti alle sue precedenti produzioni. Otto dischi dicevamo di cui uno solo cantato in inglese, Mongrel del 2016, a dimostrazione di come Strada non intenda scimmiottare un linguaggio non suo, ma sia profondamente calato nella nostra realtà.
In questo disco si circonda di un cast di collaboratori di altissima qualità, Enrico Lazzarini al contrabbasso (Capossela, Fossati), di Iarin Munari alla batteria (Vecchioni, Stadio, Red Canzian), Fabio Cremonini al violino (Lucio Dalla, Bocelli) e di Alex Valle alla chitarra acustica e al banjo (De Gregori, Zucchero) a dimostrazione di come le sue canzoni siano tenute di conto nel panorama musicale nostrano.
Emiliano di appartenenza, John Strada diverte e si diverte, auto ironizzando con la citazione gucciniana di Dall’Emilia al West, nella quale, pur esprimendo amore alla sognata America, non esita a criticarla e anche a prenderne le distanze, il tutto in una giostra festiva di violino, fisarmonica, banjo davanti alla quale è difficile restare fermi. Eneide 2020 è invece un profondo ritratto di tutti coloro che sono costretti ad abbandonare la propria terra, i migranti del terzo millennio paragonati al mito di Eneide. In Kiki, la regina di Montparnasse, musiche eleganti e raffinate colorano una ambientazione francese anni 20 mentre il rock’n’roll acrobatico di Salvo il mondo riflette e diverte con le ansie che ci attanagliano davanti a un mondo che si autodistrugge. Bello anche il solido rock iniziale di Guarda alle stelle così come l’esplicito omaggio dai sapori jazz a Tom Waits di Wonderbar con tanto di fiati e una vocalità matura dai sapori soul.
Un disco ricco di umori musicali, di matura capacità autoriale e esecutiva che ci dà un altro grande autore di canzoni, purtroppo fuori dai cosiddetti “giri che contano” in mano a marketing e piattaforme digitali che sempre più uccidono la vera musica.