La ketamina e il suo ruolo nella repressione dei pensieri di suicidio sono stati oggetti di uno studio che ha trovato pubblicazione sulle colonne di “The Bmj”, per mezzo di un articolo a cura di Eugene Breen, psichiatra e professore clinico associato. In particolare, il dottor Breen cita lo studio del professor Abbar e di alcuni suoi colleghi, secondo il quale l’assunzione di ketamina riduce per diverse settimane rispetto al trattamento abituale i pensieri suicidari (ma non i tentativi di suicidio) nei soggetti affetti da depressione bipolare.
Di fatto, questo lavoro di ricerca pare dimostrare che la depressione ordinaria psicosociale indotta (maggiore) non risponda alla ketamina, mentre la depressione bipolare lo farebbe, evidenziando altresì le loro differenze biologiche essenziali: nel primo caso si tratta di un disturbo dell’umore indotto da eventi e perdite della vita, nel secondo siamo di fronte a un disturbo dell’umore di provenienza genetica, probabilmente più “biochimicamente basata”.
STUDIO SULLA KETAMINA E I PENSIERI DI SUICIDIO. IL DOTTOR BREEN: “ABBIAMO UN DOVERE DI CURA”
Nel prosieguo del suo intervento su “The Bmj”, Eugene Breen sottolinea come la ketamina, di conseguenza, incarni una soluzione rapida e senza effetto duraturo sul comportamento delle persone, con un grande potenziale di abuso e un profilo avverso significativo. Nonostante queste controindicazioni, essa “è anche pesantemente sostenuta e finanziata dall’industria farmaceutica” e questo “fa sorgere una domanda: siamo stati accecati dalla possibilità di enormi guadagni finanziari e dalle tattiche di marketing?”.
La spinta nel trovare un nuovo farmaco per trattare la depressione e l’effetto indubbiamente rapido e di breve durata che la ketamina ha sui pensieri suicidi possono essere sommati tra di loro ed equiparati a un mero “arrampicarsi sugli specchi. Noi medici abbiamo un dovere di cura verso i pazienti, specialmente quando un farmaco può favorire l’abuso e generare dipendenza in chi lo assume”.