C’è un popolo variegato, insospettabile, che si è messo a pregare per il Papa. Quel popolo è carne stessa di Cristo, è un evento che si comunica

C’è un segno inequivocabile che rivela quando un pontificato inizia la sua ultima stagione: è la comparsa del popolo. Quell’insieme variegato, un po’ nascosto e sobrio che si presenta davanti agli appuntamenti più importanti della storia brandendo la sola arma che commuove e smuove il cielo: la preghiera.

Le notizie che si rincorrono circa la salute di papa Francesco iniziano finalmente ad essere migliori, ma certo l’episodio che ha segnato la salute di Bergoglio è come uno spartiacque che ci dice che inizia ufficialmente un tempo nuovo in questo lungo e tormentato papato, quello della presa d’atto che ogni uomo deve traguardare un punto d’arrivo in cui riconsegna sé stesso all’Amore che lo ha generato.



È in questo scenario che il popolo, ignorato dai media e sbirciato a malavoglia dai sociologi, entra sul palcoscenico della storia con quella certezza disarmante che nasce dalla consapevolezza che ogni cosa è dono e che, come tale, chiede sempre di essere restituita.

Per cosa prega tutta questa gente, a migliaia, che in queste sere si raduna in piazza san Pietro o davanti alla televisione, nelle case, nelle chiese e nelle piazze del nostro paese? È il dono della guarigione il più invocato, una guarigione che non è solo la remissione fisica dei sintomi che tormentano il Papa e che si ergono minacciosi all’inizio di questo 2025, ma è anche e soprattutto una guarigione del cuore.



Il cuore, si sa bene, non ama lasciare andare, staccarsi, mettere nelle mani del tempo che passa le cose più preziose dell’esistenza: i nonni, i genitori, la moglie, il marito, gli amici, i figli. Il cuore vuole trattenere, perché pensa che il gusto dell’amore stia tutto nella sua durata. È l’estremo esito del peccato originale, di quell’incapacità di stare dentro il rapporto con Dio che è un rapporto di fiducia e di gratuità, di riconsegna e di abbandono.

Ciascuno di noi prega per imparare ad avere il cuore di Dio, l’amore di Dio, la capacità di amare liberamente che è propria solo di Dio. Preghiamo per smettere di possedere e per imparare a lasciare, a rimettere nelle mani di un Altro quello che non è nostro, ma che noi abbiamo amato. È questa la grande preparazione, l’effettiva preparazione, che la Chiesa mette in campo. Non solo per accompagnare l’ultimo tratto di vita di un pontefice – che chiaramente potrebbe durare anche anni –, ma anche per invocare il dono dello Spirito in vista del passaggio più importante, quello che condurrà nella Sistina i cardinali elettori per guardare oltre, per approdare ad altro.



Già si vede che, nella grande piazza che ospita il cuore della cristianità, si mescola alla folla della gente comune anche il volto e il passo di cardinali spesso in contrasto tra loro, a volte contrapposti al papa stesso. Quasi ad indicare che quel tempo, il tempo della sana dialettica che anima un soggetto trinitario come la Chiesa, sta lasciando spazio ad un tempo nuovo, quello della responsabilità e della conversione, quello della paziente costruzione di un nuovo corso comune che – al di là delle semplificazioni della stampa – evita ogni deriva scismatica e ogni contrapposizione politica per mettersi alla sequela della preghiera del popolo.

Nella Chiesa, a differenza delle altre grandi istituzioni del nostro tempo e degli avvenimenti che hanno contraddistinto molti frangenti della storia occidentale, il popolo non è uno strumento, non è un mezzo da sollevare per affermare un nuovo potere o per combatterne uno sedimentato: il popolo è la carne di Cristo, è la presenza sacramentale di un soggetto che indica la strada dell’unità e dell’amore, del servizio e della verità.

Ognuno partecipa a questo popolo come può, come crede, come sa. A volte ricordandosi di un battesimo che pareva dimenticato, a volte andando più a fondo di un’esperienza di fede robusta e intensa, a volte semplicemente mostrando il proprio volto e il proprio cuore a quella grande Presenza che sola può cambiarci.

Mentre papa Francesco si siede in poltrona e desidera affacciarsi presto alla finestra per guardare quel popolo, la gente scruta la stanza del pontefice con la speranza di chi è pronto a fare un altro passo nel grande alveo della storia. In questo strano incontro tra gente che solleva la testa al cielo e un anziano vestito di bianco che sa – percepisce – che il cielo è finalmente qui, nei volti che abitano questa terra, per prenderci per mano e riportarci a casa.

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