Amuda, Kurdistan siriano. Un gruppo di volontari sta portando il cinema nei quartieri della città. C'è un mondo da ricostruire
“La prima sensazione di Amuda è quella di fare un salto nel tempo” racconta Ambrogio Manenti, medico italiano specializzato in salute pubblica che collabora con l’Ong “Un Ponte Per” e si trova da un anno nel Kurdistan siriano.
“Mi vengono in mente momenti della mia infanzia negli anni 50 e immagini viste in film del dopoguerra italiano, come livello di sviluppo e modalità di incontro”. Amuda è una cittadina di quasi 30mila abitanti nell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est, cogestita da popolazione curda e araba, che si estende lungo il confine con la Turchia.
Il modello di vita è semplice: ci sono ancora gruppi di donne che si ritrovano fuori casa per chiacchierare, bambini che giocano a calcio per strada e gli uomini che discutono all’ingresso dei negozi. Un tipo socialità che, negli ambienti metropolitani a cui siamo abituati, si è persa.
“E poi c’è la gentilezza – continua il medico –, un tratto del carattere dei curdi è l’apertura, la disponibilità non solo nei confronti dello straniero. È una caratteristica di questo gruppo. Venendo da un ambiente urbano abbastanza aggressivo, questa cosa la noti subito”.
Proprio ad Amuda, Manenti e altri membri del personale internazionale che opera nella regione insieme al Kulturvan Cultural Center stanno portando il cinema nelle piazze della città. Due cicli di proiezioni all’aperto in due diverse Comin cittadine, i comitati di quartiere in cui è suddivisa la gestione comunale.
Durante il mese di luglio hanno organizzato un primo cineforum di quattro incontri. Oggi le proiezioni per adulti e bambini continuano ogni sabato nella Comin Rezan Park. Il primo momento della serata è dedicato alla visione di un cortometraggio per i più piccoli, a seguire il film per gli adulti e la discussione tra i presenti.
I film spaziano tra i classici del cinema americano quali Stand by me (1968), fino a produzioni più recenti come Neighbours (2021), la pellicola di Mano Khalil ambientata nei primi anni 80 in un villaggio curdo del Rojava.
L’idea di organizzare delle proiezioni pubbliche gratuite nasce da una doppia necessità. Da un lato, da parte del personale internazionale, c’era la volontà di conoscere meglio la realtà locale e tessere dei rapporti con i centri culturali. A ciò si è aggiunto il desiderio di incontrare i propri vicini.

“La nostra sede si trova da anni in una zona periferica di Amuda. Non c’era stato però nessun rapporto con i vicini – spiega il medico italiano –. Abbiamo chiesto un incontro con la Comin locale per presentarci. Noi, membri del personale internazionale, eravamo disposti a contribuire alla vita del quartiere con attività volontarie durante il weekend”.
Da qui la proposta di proiettare dei film italiani sottotitolati in arabo: “un primo lavoro di collaborazione con l’obiettivo di contribuire alle attività aggregative e al collettivo culturale”.
Dare forma all’iniziativa non è sempre facile: c’è l’ostacolo della burocrazia, fatta di permessi da richiedere e che spesso tardano ad arrivare. A questo si aggiungono le difficoltà logistiche, una su tutte l’instabilità della rete elettrica, e le barriere linguistiche. Le prime proiezioni collettive non sono state semplicissime: “la luce saltava spesso – racconta Manenti –, una volta non è più tornata, un’altra ancora l’elettricità andava e veniva di continuo”.
Nonostante tutto, il tentativo ha funzionato. Lo dimostrano la partecipazione dei cittadini che è andata crescendo nel tempo. “C’era una signora di una certa età, la co-presidentessa della Comin, che ha partecipato ai ritrovi. Ogni sera la vedevo arrivare con un accessorio, un dettaglio estetico nuovo. Dentro un contesto umile – aggiunge – quell’iniziativa era sentita come una cosa particolare. La gente era contenta”.
Un progetto legato alla necessità di integrarsi con la popolazione locale che ad Amuda assume anche un valore simbolico. Il 13 novembre 1960 il Sehrazad, l’allora cinema della città, aveva organizzato una giornata di proiezioni dedicata alle scuole. Per partecipare alla “settimana di solidarietà” per sostenere la lotta dell’Algeria per l’indipendenza dalla Francia, centinaia di ragazzi e ragazze vennero accompagnati a vedere Il fantasma di mezzanotte.
Il cinema era stracolmo di studenti di età compresa tra gli otto e i quattordici anni. Durante la proiezione del film, per cause sconosciute, la sala prese fuoco. L’incendio distrusse la struttura e causò la morte di 282 bambini e bambine. Una tragedia rimasta nella memoria della comunità. Oggi un cinema vero a proprio ad Amuda non esiste. Al posto della vecchia struttura, c’è una statua che ricorda l’accaduto.
La volontà di Manenti e degli altri organizzatori è quella di continuare l’esperimento. Il Kulturvan ha infatti ideato una proposta di progetto, Open-Air Cinema: A screen for Dialogue and Community, per continuare con le proiezioni gratuite negli spazi pubblici. Il progetto prevede la ricerca di un finanziamento modesto per reperire i materiali necessari come proiettori, casse, luci e pc. L’obiettivo è favorire la partecipazione attiva cittadina e creare una piattaforma inclusiva che favorisca lo scambio culturale e il dialogo tra i diversi segmenti della popolazione.
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