Certe analisi sul turismo sembrano dimenticare la sua importanza e la possibilità di migliorare il settore e le condizioni per chi vi lavora
Certo che se è vero che per 11 mesi lo stipendio permette a fatica di arrivare al 27 non si capisce perché dovrebbe permetterci di scialare con le spese vacanziere del mese di agosto. Man mano che la polemica estiva sulle spiagge deserte perché troppo care cerca supporto su numeri verificabili e non su indagini fatte solo per la ricerca di risultati a effetto, la situazione appare meno impattante.
Così come a fronte di un problema salariale abbiamo che il reddito delle famiglie non è diminuito grazie all’aumento dell’occupazione, anche i numeri delle presenze turistiche, nazionali e internazionali, appaiono meno catastrofici. Le prime proiezioni fatte sulla stagione e non solo sul prossimo fine settimana chiudono con un segno positivo e relegano il dibattito di questi giorni fra i soliti tormentoni estivi.
Preoccupa di più la leggerezza con cui sono affrontati i temi importanti del settore. Abbiamo ascoltato addirittura da sedicenti professori di economia la tesi che dovremmo fare a meno del settore turistico perché è un fattore che non darebbe sviluppo economico e dovremmo badare solo alla ripresa della nostra produzione industriale. Che si debba mettere mano a Transizione 5.0 e sostenere la ripresa della nostra crescita industriale è sacrosanto. Però quando parliamo del nostro settore turistico parliamo di quasi tre milioni di lavoratori e di un po’ più del 10% del nostro Pil. Anche solo per rispetto di questi dati dovremmo cercare di essere più attenti.
Se vogliamo guardare al settore possiamo subito dire che presenta le difficoltà di crescita che caratterizzano quasi tutti i nostri settori economici. Le imprese sono piccole, frazionate, con basso tasso di investimenti, bassa produttività e la ricerca di bassi salari per reggere la competizione.
Nell’occupazione abbiamo un mismatching crescente. In questa stagione oltre 300mila posizioni rischiano di non trovare copertura. La scarsa crescita industriale fa sì che sia uno dei settori dove è maggiore il sotto inquadramento dei dipendenti. Alla già scarsa domanda di figure con alta formazione e specializzazione si somma così l’impiego di molti giovani in ruoli per cui risultano con una formazione eccessiva.
Come tutti i settori caratterizzati da forte stagionalità e forti momenti di domanda di servizi, pur in presenza di una contrattazione dei diversi settori coinvolti molto precisa e non ultima per tutela dei minimi salariali, vede la presenza diffusa di lavoro nero o di lavoro grigio, inteso come un lavoro dove solo parzialmente si rispettano i vincoli contrattuali.
Per affrontare il tema occorre tornare a ragionare su forme contrattuali, sostegni al reddito per i periodi di non lavoro, facilitazioni per riprese di lavoro per periodi brevi fuori stagione, incentivi a investimenti e formazione per destagionalizzare molte attività e località turistiche. Insomma, una politica che veda meno vincoli formali e più interventi sostanziali
Basta vedere le foto che circolano con i prezzi dell’ombrellone da spiagge greche o di altre località mediterranee che sono a un terzo del costo base di nostre località. Nessuno mette in rilievo che il barista greco o spagnolo che noleggia anche qualche ombrellone non è tenuto al servizio di bagnino di sicurezza per i bagnanti o a investire sulla spiaggia oltre il minimo che vuol fare per gestire la sua attività. L’organizzazione della sicurezza delle spiagge è in alcuni Paesi a carico della Pubblica amministrazione, locale o nazionale.
In vista delle auspicabili gare per la gestione degli arenili si dovrà tenere conto dei diversi e possibili modelli. Non si tratta solo di rifare le concessioni, ma di offrire anche possibili alternative al modello oggi presentato come unico possibile. I comuni dovranno poter avere un ruolo nell’individuazione del modello più consono per i loro progetti di sviluppo.
Gli interventi sulle spiagge sono però un prendere il problema dalla coda. L’offerta turistica su cui avviare una politica a favore della crescita industriale passa per un’offerta di ospitalità, trasporti e ristorazione che risponda a tutte le fasce di mercato. Più qualità a tutti i livelli delle imprese turistiche significa anche migliore occupazione per chi vi lavora. Difficile che cresca la domanda di figure professionali con alta formazione se a crescere sono solo posti letto in appartamenti privati sottratti all’affitto di lungo periodo.
Come si vede, il settore turistico non si può ridurre alla polemica se quest’anno piace di più il mare o la montagna. Poco Pnrr è stato investito per fare un salto di qualità e poco si è fatto per migliorare il sistema contrattuale e della formazione per una crescita della qualità dell’occupazione. È questo un settore dove la sfida è maggiore che in altri settori.
Molte attività del settore turistico obbligano a lavorare quando gli altri si divertono. Le indagini che relegano i giovani nella fascia di chi nel lavoro cerca di dover fare il meno possibile perché è nel tempo liberato dal lavoro che trova la propria realizzazione non aiutano a spiegare il valore delle relazioni professionali che nascono proprio in lavori che sono a sostegno del riposo/relax degli altri.
La risposta alle difficoltà di trovare nuovi lavoratori passa certamente da un aumento dei salari medi, ma non è questa l’unica variabile che serve. La definizione di percorsi di carriera; la certezza degli orari e della programmazione degli impegni; pacchetti di welfare che siano di sostegno per i bisogni delle famiglie; una formazione continua che permetta di avere crescita professionale e una costante occupabilità: sono le risposte che bisogna mettere in campo per preparare la prossima stagione lavorando per ottenere un risultato positivo migliore rispetto a quello di quest’anno.
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