PENSIONI/ Boccia (Pd): cara Camusso, l’unico “dietrofront” da fare è sugli esodati
FRANCESCO BOCCIA ci spiega perché ripristinare le regole precedenti alla riforma previdenziale renderebbe inutili gli sforzi fin qui intrapresi per mettere i conti pubblici in ordine

Non sarà di certo la migliore delle riforme previdenziali possibili. Anzi, a detta della stragrande maggioranza degli esperti difficilmente avrebbe potuto produrre più danni. Sta di fatto che, a questo punto, tornare indietro ne produrrebbe altrettanti se non, addirittura, di peggiori. Come reagirebbero, infatti, l’Europa e i mercati finanziari se il prossimo esecutivo sconfessasse uno tra gli elementi maggiormente caratterizzanti del governo Monti, insediatosi proprio per compiacere i circoli europei? Un quesito che non sembra interessare la leader della Cgil Susanna Camusso. Secondo la quale, invece, il prossimo esecutivo, semplicemente, dovrà fare dietrofront. Francesco Boccia, coordinatore delle questioni economiche del Pd spiega a ilSussidiario.net perché l’ipotesi non è praticabile.
Come valuta la proposta della Camusso?
Se per modifiche alla riforma delle pensioni si intende la correzione dei suoi errori più clamorosi come gli esodati, siamo d’accordo. Se si intende il ritorno al passato, invece, è il modo migliore per vanificare tutti gli sforzi che il Paese ha sin qui dovuto sostenere.
Ci spieghi meglio.
Tutti gli interventi fin qui varati dal governo valgono 213 miliardi di euro di correzione cumulata dei conti, come riportano i dati Istat-Bankitalia; ovvero, 4,5 punti di Pil all’anno per tre anni. Il merito di un tale ammontare (salvo il merito politico che sarà la storia, eventualmente, ad attribuirlo a Monti) spetta interamente agli italiani. Che hanno saputo farsene carico, con enorme senso di responsabilità, senza dar vita ai disordini e alle manifestazioni di piazza cui abbiamo assistito in Spagna e in Grecia.
Perché ripristinare le norme precedenti significa tornare indietro? Si tratta pur sempre di una singola riforma…
Sì, ma la sua incidenza su quei 213 miliardi è tutt’altro che indifferente. Tornare indietro, inoltre, significherebbe ripristinare quel mercato duale tale per cui chi ha potuto ottenere la pensione con il metodo retributivo vivrà da privilegiato mentre i giovani di oggi non hanno alcuna certezza.
Parlava, in ogni caso, di errori. A cosa si riferisce?
Anzitutto, occorre risolvere la vicenda degli esodati. E potenziare quella parte della riforma, non ancora applicata, che prevedeva che parte dei risparmi accumulati grazie alle nuove norme fossero utilizzati per le nuove generazioni.
In molti sostenevano la necessità di introdurre un meccanismo di flessibilità, per consentire di accedere al regime pensionistico alcuni anni prima o alcuni anni dopo una certa soglia fissata, dietro opportuni disincentivi o incentivi…
In generale, l’ipotesi è ragionevole. Tuttavia, il rischio è che nel momento in cui si stabilisse che si può andare in pensione, ad esempio, a 58 anni dietro disincentivo, in molti potrebbero optare per questa soluzione. Non è escluso che costoro potrebbero essere la maggioranza. Il che equivarrebbe a un ritorno al passato. Diverso è il caso in cui si ipotizzi una forbice meno ampia, dai 63-64 anni ai 70, per intenderci. Ma l’ipotesi, così formulata, non è mai stata avanzata come proposta.
Non crede che una controfirma, oltretutto, sortirebbe effetti deleteri sul fronte dei mercati finanziari?
Di questo mi preoccuperei di meno. L’Italia dovrà affrontare la questioni finanziarie imponendo, anzitutto una netta Tobin tax, specialmente sui derivati. La questione degli spread, oltretutto, si risolve nel momento in cui si attiva il Fondo salva-stati. Nei confronti dei mercati finanziari, quindi, occorre avere un atteggiamento diverso; sapendo, cioè, che vanno seriamente regolamenti e che, a essi, non abbiamo proprio nulla da dimostrare. Tanto più che noi, i cosiddetti compiti a casa, non solo li abbiamo fatti, ma, addirittura, ci troviamo nella condizione di chiedere altrettanto agli altri paesi.
(Paolo Nessi)
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