L'accordo per il rinnovo del modello contrattuale tra Confindustria e sindacati sembra essere sempre lontano. Le categorie potrebbero essere però più avanti. Di GIUSEPPE SABELLA

Ha fatto discutere, in questi giorni, un articolo di Luca Ricolfi apparso sulle pagine de Il Sole 24 Ore sul sindacato e sulla rappresentanza. Secondo Ricolfi, il sindacato italiano negli anni ’70 aveva un enorme prestigio derivante dalla sua profonda capacità di rappresentare l’interesse nazionale; oggi, invece, il sindacato non interpreta l’interesse generale e la sua azione si limita alla tutela dei propri iscritti.



Chi scrive da tempo sostiene la stessa cosa: il sindacato, non essendo stato capace di affrontare fino in fondo le trasformazioni del lavoro, si limita alla tutela dei propri iscritti che si traduce nella difesa a oltranza di interessi precostituiti. Si tratta di un problema di rappresentanza: non affrontare le trasformazioni del lavoro significa non intercettare giovani, perdere iscritti ed essere sempre più i paladini del lavoro pubblico e dei pensionati, ovvero dello zoccolo duro degli iscritti.



Se il sindacato deve tutelare i propri iscritti o gli interessi generali è argomento di discussione: viene da sé che un sindacato moderno, capace di essere soggetto promotore del cambiamento, tutela allo stesso tempo i propri iscritti e gli interessi generali. Va detto, per onestà intellettuale, che il problema della rappresentanza riguarda anche la parte datoriale.

Il futuro della rappresentanza resta il problema di fondo: chi rappresenta oggi il sindacato? Chi deve rappresentare per riscoprire la sua missione e porsi come soggetto attivo per la trasformazione sociale? Certo poi non mancano aspetti più concreti, come ricorda lo stesso Ricolfi: oggi resta di fondamentale importanza individuare nuovi assetti e nuove modalità retributive. E qui, anche lo Stato deve fare la sua parte: è indispensabile ridurre il gettito fiscale sulle imprese.



Come ricordavamo in un recente articolo, è proprio questo il punto principale su cui Cgil, Cisl, Uil e Confindustria non sono riuscite a trovare un accordo: i sindacati naturalmente vorrebbero più soldi dalle imprese, che però – stante la dinamica inflattiva impazzita degli ultimi anni – avanzano crediti dai lavoratori. Confindustria propone quindi di distribuire ricchezza in funzione della produttività; la Cisl è in linea con questa posizione, la Cgil parla di riduzione dei salari, la Uil in un primo momento pareva d’accordo, ma ora è partita all’attacco degli industriali.

Un accordo generale non ci sarà, almeno per il momento; anche perché Cgil e Uil vogliono il rinnovo dei contratti di settore. A proposito di settori e di federazioni, il mondo del sindacato è un mondo complesso, dove coesistono storie diverse e culture eterogenee. Storie, culture, ma anche capacità. Ci sono settori che si sono sempre contraddistinti per ottima partecipazione delle parti e per innovazioni individuate: vedi i chimici, ma anche gli alimentaristi e gli edili.

Ora che Squinzi ha lasciato via libera alle categorie, si attende qualche rinnovo di settore. Sono sempre questi, in particolare i chimici, a fare da apripista e a individuare soluzioni che poi vengono spesso accolte e mutuate dal sistema. Sarà così anche questa volta?

 

Twitter sabella_thinkin

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