LAVORO/ Ichino: il Jobs Act ha funzionato, ma sulle politiche attive bisogna accelerare

- int. Pietro Ichino

Al tradizionale appuntamento autunnale di Gi Group, PIETRO ICHINO promuove il Jobs Act a fine legislatura su occupazione e contenzioso: ma sulle politiche attive c'è ancora molto da fare

Ichino_Pietro-Lapresse Pietro Ichino (Lapresse)

Il Jobs Act ha sostanzialmente superato gli esami sul mercato del lavoro. “Nell’ultimo triennio l’occupazione dipendente è aumentata di oltre un milione di unità e gli occupati stabili aumentano di più di quelli a termine”: Pietro Ichino scorre le slides preparate per il tradizionale appuntamento autunnale organizzato da GiGroup – multinazionale leader nei sevizi per il lavoro – per un punto della situazione sulle politiche del lavoro alla svolta della legge di bilancio (con il senatore confluito da Scelta Civica nel Pd, nel Palazza del lavoro GiGroup c’è il viceministro dell’Economia, Enrico Morando del Pd).

I “se” naturalmente non mancano e Ichino li elenca: “La ripresa dell’occupazione si è mostrata più lenta della media Ue e dalle statistiche emerge un beneficio più netto per i lavoratori anziani rispetto ai più giovani”. Inoltre il boom di assunzioni stabili avvenuto nel 2015 si è affievolito, benché anche nel 2017 il saldo fra assunzioni e cessazioni rimarrà positivo. E’ su questo sfondo, d’altronde, che ieri Ichino ha praticamente riferito in diretta del provvedimento annunciato a valle del Consiglio dei ministri: gli sgravi contributivi al 50% per i neoassunti fino a 34 anni d’età nel 2018 con una prosecuzione strutturale per i giovani fino a 29 e la cumulabilità con l’apprendistato di terzo livello.

Secondo il senatore che ha contribuito in modo determinante a scrivere la riforma del mercato del lavoro anche nel 2017, in ogni caso, il saldo fra assunzioni e cessazioni dovrebbe risultare positivo. E fra le cause che hanno rallentato la ripresa occupazionale, Ichino include anche eventi esterni di tipo politico-istituzionale, come il complesso vaglio della riforma da parte della Corte Costituzionale nonché l’incertezza sull’esito del prossima tornata elettorale.

“Non è un mistero che alcune forze politiche puntino a rivedere o addirittura cancellare il Jobs Act, ad esempio ripristinando l’articolo 18 nella sua versione originaria”, ha osservato nell’auditorium GiGroup Ichino, che ha deciso di concludere con questa legislatura la sua esperienza parlamentare. Anche sul versante processuale della flessibilizzazione in uscita del rapporto di lavoro le cifre sembrano dare ragione alla riforma: sono quelle del crollo del contenzioso giudiziale su licenziamenti e contratti a termine. Dati “clamorosi” quelli elencati da Ichino.

Un capitolo rimasto sulla carta è quello delle politiche attive del lavoro, riconosce Ichino. La sperimentazione è partita di fatto con due anni di ritardo e sta riguardando 30mila lavoratori, ma ciò che preoccupa il giurista è un impostazione ancora non corretta del ricollocamento. Il ricorso agli strumenti individuati per creare opportunità di nuova occupaizone a chi ha perso il lavoro sono lasciati ancora troppo alla scelta del singolo: che invece dovrebbe essere obbligato ad aderire ai programmi “attivi a fronte di contributi e agevolazioni” di ricollocamento”. Nel resto dell’Europa dall’Olanda alla Svizzzera e ora anche alla Germania, chi ha perso il lavoro viene subito indirizzato alla ricerca di una nuova occuapazione: in Italia sembra prevalere ancora la tutela della disoccupazione. Eguale insoddisfazione ha espresso Ichino per un eccesso di regolamentazione nella nuova normativa sullo smart working (ad esempio nelle certificazioni annuali sulla sicurezza delle condizioni di “lavoro agile”).

“L’intervento pro-occupazione giovanile inserito nella legge di stabilità 2018 – ha osservato Morando – testimonia la volontà del governo di non cedere su questo fronte d’emergenza”. L’Unione Europea ha lasciato all’Italia margini di flessibilità legati in parte a una ripresa del Pil un po’ più pronunciata. Tuttavia il disinnesco delle clausole di salvaguardia (aumento dell’Iva) hanno lasciato al governo uns sentiero stretto all’interno di una manobra da 20 miliardi. E qui Morando è stato chiaro: il rilancio degli investimenti privati (anzitutto “Industria 4.0”) è stato una leva importante, necessaria per combattere la crisi di produttività dell’Azienda-Italia. Ma siamo a un picco e non è immaginabile che provvedimenti a sostegno del “fattore capitale” possano avere fisionomia strutturale nel medio-lungo periodo. Per il 2018 il governo ha riorientare la politica economica su due fronti: l’occupazione giovanile e il contrasto alla povertà assoluta, mentre si sono riaccesi i fari anche sulla dinamica degli investimenti pubblici – crollati durante la grande crisi – con un’attenzione alle autonomie locali.







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