La formazione sarà sempre più importante per i lavoratori e per le imprese, ma dovrà essere al passo coi tempi
L’Intelligenza artificiale è sempre più presente nelle imprese di qualsiasi dimensione e filiera. A sua volta, la popolazione lavorativa è in costante invecchiamento, senza che vi sia un proporzionale ricambio.
Questi due fattori discordanti caratterizzano il mercato del lavoro europeo. Sono due criticità la cui soluzione inevitabilmente è sintesi di entrambe. Infatti, per restare agganciati alla transizione digitale è necessario ripensare a come formare le generazioni di lavoratori più in là con gli anni, ma non ancora prossime alla pensione, affinché abbiano le competenze per cogliere le sfide del progresso tecnologico stesso.
D’altra parte, non basta parlare di formazione. Non è sufficiente presentare un menu di contenuti, convinti che poi tra formatore e discente nasca, per spontaneità o fortuna, la giusta collaborazione. Anche la formazione, infatti, è soggetta a un percorso di innovazione. Anche i concetti di upskilling e reskilling sono esposti ai vantaggi (e ai rischi) dell’IA. Di conseguenza, le forze produttive si trovano chiamate a innovare la formazione in un modo che sia coerente tra quanto succede fuori, sul mercato, e le caratteristiche della propria workforce.
A questo proposito, è interessante riflettere sui dati. Il 94% delle persone, secondo Keene (36 Employee Training Statistics for 2025), esprime il proprio attaccamento all’azienda in cui lavora in relazione ai corsi di formazione e crescita implementati da quest’ultima. È segno che il lavoratore medio è consapevole di cosa si debba fare – sia lui come individuo, sia il suo datore di lavoro – per continuare a essere una risorsa. D’altra parte, secondo i rilevamenti dell’Ocse, l’Italia è il Paese Ue dove meno si investe in formazione. Le nostre imprese la considerano come un “must have”, d’accordo. Tuttavia, una volta definita, non necessita revisioni o aggiustamenti.
Al contrario, secondo le stime del Corporate Training Market, entro cinque anni l’aggiornamento professionale assumerà caratteristiche sempre più ibride. La formazione digitale sta avendo il sopravvento. È lecito quindi chiedersi quali saranno, nel dettaglio, le dinamiche di questa evoluzione. È questo che intendiamo quando parliamo di “Skill of tomorrow”, titolo di una raccolta di interventi realizzati nel corso di un webinar promosso da Edflex Italia.
Quale sarà la formazione di domani? Da qui a pochi anni l’Intelligenza artificiale imporrà a imprese e lavoratori una crescente elasticità. L’adaptive learning porterà all’adozione di contenuti formativi sempre più specifici per ruoli e competenze individuali. Si passerà dal “one size fits all” al “just for you”, nell’ottica di un processo di personalizzazione utile alle aziende affinché investano solo in ciò che colma davvero i gap di competenze.
Dalla personalizzazione della formazione non sono esclusi gli erogatori dei prodotti. Coach e formatori saranno potenziati dalla tecnologia a disposizione. Peraltro stimolati da un pubblico di discenti più consapevoli e preparati al confronto. È qui che subentra il “change management”, come ulteriore elemento in una formazione in cui il cambiamento passa dall’essere episodico a rutinario. Sarà necessario gestire emozioni, quali paure e resistenze, attraverso l’ascolto attivo. Ai professionisti della formazione è richiesto uno scatto di “growth mindset”.
Altrettanto impegno è necessario per le linee decisionali dell’impresa. Suonerà come una provocazione quando dico che si va verso una leadership diffusa. Però ci sono delle valutazioni attendibili che portano a sostenere che essere manager non è automatico. La promozione a manager dei migliori performer non li rende di per sé bravi. Formazione e coaching sono due strumenti utili affinché una persona destinata a cariche apicali sappia essere consapevole delle proprie debolezze e di quelle dei collaboratori, sia in grado di valorizzare le capacità del suo team e cogliere le occasioni del cambiamento.
Tuttavia, c’è un’esigenza ancora più importante che fa di un professionista un vero manager. Ovvero la capacità di dare concretezza alla ragione ultima per cui un’impresa esiste. A noi piace parlare di “purpose”. Un concetto che non può essere materia propria unicamente della comunicazione, bensì definito dal board e permeare tutta l’organizzazione. Il purpose è una leva di competitività dell’impresa. È il suo Dna che si adatta ai cambiamenti in corso.
La formazione in grado di fare sintesi di questi processi di trasformazione è una formazione che va oltre il semplice accumulo di contenuti. È uno strumento di crescita dell’impresa e di progresso delle persone che ne fanno parte.
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