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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Claudia Koll, “Qualcosa di me”: la fede è uno sguardo amoroso

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LETTURE/ Claudia Koll, “Qualcosa di me”: la fede è uno sguardo amoroso

Massimo Borghesi
Pubblicato 21 Febbraio 2025
Claudia Koll (d) durante la presentazione del libro. A s: Massimo Borghesi, Daniela Poggi, Mimmo Muolo (foto di archivio)

Claudia Koll (d) durante la presentazione del libro. A s: Massimo Borghesi, Daniela Poggi, Mimmo Muolo (foto di archivio)

In “Qualcosa di me”, la sua autobiografia, Claudia Koll racconta la conversione. Ecco come la fede ha cambiato la sua vita di donna e attrice

Sabato 15 febbraio, alla Libreria San Paolo di via della Conciliazione a Roma, è stato presentato il volume di Claudia Koll, Qualcosa di me. Dialogo con un’amica (Tau Editrice, 2025). Con l’autrice erano il giornalista dell’Avvenire Mimmo Muolo, l’attrice Daniela Poggi, il filosofo Massimo Borghesi. Riportiamo l’intervento di Borghesi.


Claudia Koll: “Dio non mi ha tolto niente”/ “Sono contento della mia vita, al Giubileo del 2000...”


Sono particolarmente lieto di presentare l’autobiografia di Claudia, la sua intervista Qualcosa di me che nasce da un dialogo con l’amica Giulia, Mariagiulia Verdi. Con Claudia ci conosciamo dal novembre 2008, in occasione di un Convegno ad Ancona dove lei era lettrice di alcuni brani poetici. Personalmente non avevo visto né i suoi film né le serie televisive che l’avevano vista protagonista. Ovviamente la conoscevo di nome. Ciò che mi colpì fu l’intensità della sua voce, nel recitare i brani, e la semplicità della sua persona fuori dal consueto narcisismo che caratterizza i personaggi dello spettacolo.


Claudia Koll: “Papa Francesco? Avrei voluto che incontrasse mio padre”/ “Non me la sono sentita…”


La conoscenza iniziata allora si è poi approfondita in incontri successivi che hanno portato ad una mia collaborazione ai corsi d’insegnamento dell’Accademia Star Rose di cui Claudia era responsabile. Nel rapporto personale con lei l’attenzione era catturata dalla semplicità e dall’essenzialità della sua fede, dalla sua testimonianza offerta con totale naturalezza. Una testimonianza resa da una persona che si è arresa, arresa ad un Avvenimento che ha travolto la sua esistenza, arrivata ad un vicolo cieco, e l’ha cambiata nel profondo.

Non è stata la sua inquietudine, l’insoddisfazione della propria vita, che l’ha cambiata, bensì, come accade nei processi di conversione, un fatto capitato. Nel suo caso l’attraversamento della Porta Santa, a San Pietro, nel Giubileo del 2000. Sollecitata da un’amica senza che lei, lontana da anni da ogni pratica religiosa, avesse la minima cognizione del gesto. Da lì, da quel passaggio apparentemente insignificante, è iniziato un cammino di ripensamento che ha portato alla Claudia di oggi.


Claudia Koll a Domenica In: "Mio figlio è stato in ospedale"/ "Non ho una visione romantica della vita"


Un processo in cui la causa rimane insondabile, incommensurabile rispetto all’effetto. Di fronte a quanto le è capitato non ha potuto tacere, ha identificato lo scopo della sua vita nel raccontare quanto le era capitato. Questo è profondamente cristiano: non inventarsi nulla ma raccontare quanto un Altro opera in te. È questo “operare” che ha prodotto in lei un cambiamento profondo. Non, però, un rinnegamento del desiderio di bellezza e di amore alla realtà che la qualificava, da sempre. Per questo la cosa che le reca più dispiacere – e ciò è perfettamente comprensibile – è il pregiudizio di taluni che la ritengono una sorta di religiosa che ha rinnegato la bellezza, sua e del mondo. Un talento sprecato.

Contro questa immagine in Qualcosa di me lei afferma: “Sono una cristiana senza consacrazioni particolari” (p. 58). Claudia è e vuol rimanere un’attrice. Questa è la sua vocazione che la conversione non ha tolto ma, al contrario, approfondito.  In lei la fede ha una dimensione “laicale” che rende la sua testimonianza decisamente attuale.

In proposito mi piace ricordare la figura di uno dei più grandi poeti cristiani del Novecento, l’autore de Il mistero della carità di Giovanna d’Arco, socialista, anarchico e poi credente. Sto parlando di Charles Péguy, di cui ho appena curato un volume di studi dal titolo. Il cristiano e l’anima carnale. L’attualità “inattuale” di Charles Péguy (Studium). Nel volume c’è un mio saggio dal titolo Péguy, il laico il cristiano. Laico-cristiano non sono termini antitetici: indicano nella loro complementarietà l’amore al mondo, alla vita, al bello, al corpo. Amore reso più intenso dalla Grazia.

Per questo Claudia esordisce, nel suo dialogo con Giulia, parlando delle varie forme di amore: l’amicizia, l’eros – documentato attraverso Il Cantico dei cantici –, la carità. Le forme dell’amore ci sono tutte. Quelle già indicate dalla letteratura greca – la philia, l’amicizia, e l’eros, l’amore tra uomo e donna – e l’agape, l’amore portato da Cristo. L’agape, di cui Claudia sta dando un esempio attraverso la sua associazione Le Opere del Padre che si occupa dei poveri e degli abbandonati in Italia e nel mondo, non rinnega ma trasfigura le altre forme di amore.

Al pari di Péguy ella vive intensamente la teologia dell’Incarnazione. Per questo la sua testimonianza è attuale. Perché di questo ha bisogno il mondo di oggi, di una rappresentazione vivente della fede calata nella realtà. Ha bisogno di una mistica che trattenga il valore della terra e non di un’ascetica che disprezzi il mondo.

È quest’amore alla terra che porta Claudia a valorizzare la dimensione “fisica”, corporea, del reale. Il Verbo si è fatto carne, si è fatto corpo. In Qualcosa di me sono belle le annotazioni in cui Claudia, stupita, si sorprende dello sguardo di Gesù nei Vangeli. Entra, filmicamente, all’interno della scena descritta e guarda, a sua volta, Gesù che guarda. Vede lo sguardo “bello e buono” di Gesù (p. 48).

Questo immedesimarsi indica la sensibilità dell’attrice, il modo come percepisce il Vangelo: non come lettura astratta, meramente teologale, ma come com-partecipazione a quanto lì viene narrato. I fatti e i personaggi narrati nei Vangeli divengono reali, attuali, presenti. Divengono ciò che devono essere perché nel Vangelo la verità di ciò che viene raccontato passa attraverso la realtà di ciò che viene descritto. In ciò Claudia si ispira direttamente a Sant’Ignazio di Loyola il quale negli Esercizi Spirituali invita “a entrare in una scena del Vangelo e a meditarla immaginandola. Sant’Ignazio aveva capito che dentro di noi ci sono i sensi interiori” (p. 72).

Si tratta di una tecnica che, nel caso dell’attrice, si fonde con quella assimilata attraverso l’Actors Studio di Lee Strasberg. “Per immaginare una scena (Sant’Ignazio parla di composizione di luogo), chiudo gli occhi, mi calo in quella scena fino a quando non la vedo interiormente e si attivano i sensi interiori che mi permettono di vivere quella situazione. Tramite l’Actors Studio ho imparato a fare esercizi per affinare i sensi interiori” (p. 72).

I “sensi interiori” aiutano a ricreare la situazione appresa attraverso i sensi esteriori. Quelli indicati nella prima Lettera di San Giovanni riguardo all’Avvenimento di Cristo: “Quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita”. Udire, vedere, toccare: i sensi sono implicati nel certificare la realtà di quanto era accaduto a Giovanni e agli altri discepoli.

Per Claudia la “fisicità” del cristianesimo ha a che fare con il suo essere attrice. Il corpo è la mediazione tra interno ed esterno e l’attore lavora sul corpo, sull’espressione: mimica, gestuale, vocale. Lavora – e qui vale la lezione appresa alla scuola americana – alla immedesimazione con la parte, con il personaggio. Com’ella afferma: “Il cuore di carne, che Dio mi ha donato, mi permette di entrare in sintonia con l’altro. Mi viene naturale. Nell’interpretazione, io mi lascio guidare dal flusso dell’emozione che mi raggiunge e che poi raggiunge gli altri” (p. 60). L’interpretazione di un attore non deve semplicemente “sembrare” reale, ma deve “essere” reale anche per chi interpreta. Per questo è importante che l’attore costruisca la “struttura psicologica” (p. 74) del personaggio.

Ciò vale in particolare per lei, che avendo studiato e approfondito la figura del Counsellor, ispirandosi in ciò all’insegnamento di Konstantin Stanislavskij, affida all’arte e alla recitazione il fine di riportare le persone a sé stesse. Nella recitazione Claudia unisce l’amore al corpo con l’amore all’arte. Personalmente ama molto la pittura: “Dall’Actors Studio ho imparato che per interpretare un personaggio è importante ricorrere allo studio dei quadri. Nel caso di un personaggio del passato, questo lavoro preparatorio permette di conoscere l’abbigliamento, la postura, l’acconciatura, lo sguardo, un certo modo di presentarsi tipico del tempo, ma anche aiuta l’interprete a comprendere che cosa ha lasciato quell’uomo/donna dell’epoca all’uomo di oggi, che cosa dice a me persona di oggi” (p. 94).

L’arte del passato consente, al modo di una galleria di foto, quel processo di ricreazione e di immedesimazione che rendono realistica ed espressiva la rappresentazione del personaggio. Così per l’interpretazione di Vivie Warren, ne La professione della signora Warren di George Bernard Shaw, Claudia si è giovata della pittura dei Preraffaelliti. Personalmente la sua predilezione cade su Hopper, Degas, Chagall. E, tra tutti, su Vincent Van Gogh. Impressionata dalla lettura dell’epistolario con il fratello Theo, ella scrive che  “Vincent ha reso sacro l’umano e umanizzato il sacro” (p. 85).

“Ne I mangiatori di patate c’è la mensa dei contadini che si riuniscono per mangiare a fine giornata. Quella è una mensa sacra per Vincent. I mangiatori di patate è un quadro bellissimo, come bellissima è l’evoluzione che l’artista ha fatto fare a questo dipinto. Quando morì il suo papà, con il quale aveva un rapporto conflittuale perché non si sentiva stimato da lui, Vincent modificò l’equilibrio del quadro. I personaggi, che prima non si guardavano, nella seconda versione si cercano e si incontrano negli occhi. In questa sera stanca, alla fine di una giornata dura, i contadini appaiono seduti attorno alla mensa per la loro povera cena. I loro visi sono segnati dal sole e dal lavoro all’aperto” (p. 85).

Vincent Van Gogh coglie nella realtà una luce di bellezza che fa vibrare il cuore. Claudia cita una frase di Benedetto XVI nell’Incontro con gli artisti del 2009: “Una funzione essenziale della vera bellezza consiste nel comunicare all’uomo una salutare ‘scossa’ (…). La bellezza colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza” (p. 92).

È la stessa esperienza di Van Gogh, il quale in una lettera a Theo riportata in Qualcosa di me scrive: “Sento un terribile bisogno di – lo chiamerò con il suo nome – religione, e allora esco di notte a dipingere le stelle e sogno sempre un quadro così, con un gruppo di persone vive” (p. 83). È lo stesso Vincent che anni prima scriveva: “Ho guardato anche i tetti delle case che si vedono dalla finestra della mia camera e le cime degli olmi, scuri sullo sfondo del cielo notturno. Sopra quei tetti, un’unica stella, ma bella, grande, amichevole… E mi sono venute in mente queste parole: Concedimi la tua benedizione, non perché io ne sia degno, ma per amore di mia madre. Tu che sei amore, copri ogni cosa. Senza la tua costante benedizione noi non possiamo fare nulla” (pp. 83-84).

La commozione “religiosa” nasce dallo stupore di fronte alla presenza del mondo, al mondo “fisico” e alla forma che lo disegna. Questa è la sensibilità di Claudia, ciò che fa di lei un’artista e che, al contempo, nutre la sua fede. La fede è uno sguardo amoroso,  è una Divina Misericordia. È il titolo di un volume di Faustina Kowalska da lei curato, per le Edizioni Messaggero, in occasione del Giubileo straordinario del 2015, quello dedicato alla Misericordia. La Misericordia perdona tutto, abbraccia tutto. L’artista non è l’esteta innamorato di una bellezza che rifugge il dolore e la miseria. Claudia cita, in proposito, Eugène Ionesco: “Il mondo è allo stesso tempo meraviglioso e atroce (…). [Scrivo perché la gente ne] prenda coscienza, perché vegli, perché non dimentichi. Si scrive per far condividere agli altri lo stupore di esistere, il miracolo del mondo e far sentire il nostro grido di angoscia a Dio e agli uomini” (p. 147).

Si scrive, si recita, si ama per trasmettere agli altri “lo stupore di esistere, il miracolo del mondo” e, insieme, “il nostro grido di angoscia a Dio e agli uomini”. In Claudia stupore ed angoscia si fondono in una supplica al Cristo dell’orto degli ulivi, nell’immedesimazione con i suoi personaggi, ora lieti ora drammatici, nell’amore all’arte e, al contempo, al volto segnato dei miseri senza dimora. Ci vuole un cuore grande per abbracciare tutto, per accogliere gioia e dolore. In Qualcosa di me emerge qualcosa di questo cuore.

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Tags: Claudia Koll

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