Il penetrante saggio di Alexandre Koyré "Sulla menzogna in politica" ci fa aprire gli occhi sull’inganno che viene alimentato per costruire il consenso
Molti nell’età moderna hanno scritto sulla menzogna in politica, da Machiavelli a Swift, da Hobbes a Kant, da Arendt ad altri autori, meno conosciuti per questo tema, come Alexandre Koyré (1862-1964), epistemologo, già membro della resistenza francese al nazismo.
Il suo Sulla menzogna in politica, pubblicato originariamente a New York nel 1943 e in traduzione italiana da Lindau nel 2010, evidenzia quale sia il nucleo fondante dei totalitarismi, ma ha molto da dire anche sui cosiddetti sistemi democratici, in cui la menzogna assume connotati più sofisticati e pervasivi.
La questione centrale, infatti, non è solo quella etica, ma quanto la menzogna sia la cartina al tornasole per verificare se si è o non si è in un sistema politico in cui la relazione governante-governato rimanga rispettosa della dignità della persona.
La prima domanda che ci poniamo, rileggendo Koyré, è perché i politici, come certi medici che negano l’evidenza ai pazienti terminali, continuano a mentire. Certo, non tutti i politici mentono, né lo fanno costantemente, ma la mescolanza di verità e menzogna si rivela spesso più insidiosa della menzogna esplicita.
Negli ultimi anni, i nuovi strumenti di comunicazione, tra cui social network e chat di massa, hanno trasformato la menzogna in un fenomeno capillare e istantaneo. Per secoli, la propaganda ha strategicamente identificato nemici o capri espiatori su cui indirizzare paure e frustrazioni. Oggi, tuttavia, la novità preoccupante è che la menzogna non colpisce più solo i rivali politici, ma si rivolge ai propri elettori con un’intensità senza precedenti.
Henri-Irénée Marrou nel suo saggio sulla conoscenza storica ricorda come Adolf Hitler, nel suo Mein Kampf, sostenesse la necessità della “grande menzogna”: più essa è grossolana, più sarà creduta. Hannah Arendt, nel suo studio Sulla menzogna in politica, evidenziava come le bugie siano diventate strumenti di governo, utili non solo per nascondere la verità, ma per costruire una realtà alternativa.
Analogamente, George Orwell, in 1984, ammoniva: “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”, come a sottolineare che la ridefinizione della storia è essenziale per il dominio del presente.
Già Alexis de Tocqueville metteva in guardia: “La democrazia e la menzogna si incontrano quando la maggioranza trasforma l’errore in verità ufficiale”, prefigurando il rischio che la pressione sociale travestita da consenso democratico diventi un veicolo di falsità.
Questa capacità di creare una “realtà alternativa”, un “mondo parallelo”, è amplificata dai social media, dove bufale e fake news si diffondono più rapidamente di qualsiasi smentita. Le campagne di disinformazione, ad esempio durante la guerra in Ucraina o la pandemia, ne sono una prova tangibile, al punto che nessuna delle parti in causa può godere ormai di una sensata credibilità, in un oceano di propaganda quasi impenetrabile.
La seconda domanda è, allora, inevitabilmente quella sui limiti di un modello democratico fondato su forme di menzogna. Democrazia o democratura? Un mondo reale o una proiezione propagandistica? Koyré scriveva: “Non si è mai mentito così tanto… giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, cumuli di menzogne si riversano sul mondo”. La sua analisi, che sembra scritta per i nostri tempi, espone il rapporto tra propaganda e menzogna, sottolineando il disprezzo per la verità e l’umanità.
Già nelle prime pagine di questo straordinario libretto il lettore si trova davanti a giudizi che sembrano scritti oggi: “I discorsi, gli scritti, i giornali, la radio … tutto il progresso tecnico è posto al servizio della menzogna. L’uomo moderno è immerso nella menzogna, respira la menzogna, è sottomesso alla menzogna ogni istante della sua vita (…) La menzogna moderna è fabbricata in serie e si rivolge alla massa. Così, se nulla è più raffinato della propaganda moderna, nulla è più grossolano del contenuto delle sue asserzioni, che rivelano un disprezzo assoluto e totale della verità”.
Questo approccio conferma che la menzogna è, in fin dei conti, un segno di debolezza. Serve come arma dell’inferiore e del debole, che inganna per superare l’avversario. In democrazia, la menzogna può essere particolarmente distruttiva: è un modo di umiliare e disprezzare l’elettore, ridotto a semplice numero e non a individuo pensante.
La massa – perché il potere vuole “masse”, non persone libere, men che meno popoli – “crede a tutto ciò che le si dice. Purché glielo si dica con sufficiente insistenza. Purché si lusinghino le sue passioni, i suoi odi, le sue paure. Credere, obbedire e combattere – tale è il dovere della massa. Il pensiero è affare del capo”, o di chi c’è dietro di lui e tira veramente le fila.
Eppure, anche in politica, la menzogna è un segno di debolezza, non di forza, forse in democrazia ancor più che nei sistemi apertamente totalitari. “La menzogna può essere un’arma. L’arma preferita dell’inferiore e del debole che, ingannando l’avversario, si vendica e ha la meglio su di lui”.
La terza e, per ora, ultima questione è allora quella del disprezzo per i destinatari della menzogna, con il paradosso della vittima che si compiace dell’inganno che sta vivendo, percependosi “dalla parte della verità”.
Koyré, analizzando i totalitarismi, riconosce che la menzogna è utilizzata per discreditare l’intelligenza degli elettori, prospettiva che si ritrova nelle contemporanee democrazie mediatiche, confermando che esse sono solo “apparenti”. Questo disprezzo è tanto più tragicomico poiché i politici continuano a necessitare del consenso elettorale, ottenuto il quale l’elettore diviene inutile.
È questa l’essenza, diremmo noi, della “democratura”, cioè di un sistema di democrazia apparente. Il politico che ne sia espressione, in realtà, disprezza il proprio elettore.
Anche nella vita di ogni giorno la menzogna è sempre un segno di disprezzo, ma in politica essa assume un suo significato specifico. Mentendoti, ti dico che per me non vali nulla, se non, al massimo, il tuo voto, di cui, per il momento, ho ancora bisogno, ma solo come un numero da aggiungere a tanti altri. Anche per le dittature leggere – precisiamo noi – vale quello che Koyré scrive per i totalitarismi forti: “Nell’antropologia totalitaria l’uomo non è contraddistinto dal pensiero, dalla ragione, dal giudizio, proprio perché, secondo essa, la grande maggioranza degli uomini ne è priva”. Se sostituiamo al generico “uomini” il termine “elettori”, abbiamo la quintessenza della menzogna politica in democrazia, che è, poi, quel che certifica il fatto che le nostre democrazie sono solo apparenti.
Qui sta anche la risposta alla domanda da cui siamo partiti: perché i politici mentono? Mentono per debolezza, avendo comunque bisogno di garantirsi il consenso elettorale. Mentono per disprezzo, ritenendo utili i voti, ma inutili gli elettori. Già, proprio qui sta il punto più beffardo e più tragico: i politici mentono ai loro elettori, di cui pure hanno ancora in qualche modo bisogno, perché li disprezzano, ma in questo loro disprezzo sta la dimostrazione della loro debolezza e inutilità.
La menzogna in politica non è, oggi più che mai, solo una questione morale; è un indicatore di debolezza e totale mancanza di stima e fiducia nei cittadini. Maggiore è la dipendenza dalla menzogna, maggiore è la paura verso un’opinione pubblica informata e libera, per quanto essa sia numericamente minoritaria.
È questa libertà, in ultima analisi, che è oggi in gioco di fronte ai grandi monopoli informativi. La sfida è riconoscere e affrontare questa menzogna, sia nei discorsi che nelle azioni politiche, perché resta sempre vero che, oggi più che mai, solo “la verità rende liberi”.
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